La grande storiella di Anita

Sono Anita, sono una ragazza, non tanto più ragazza, che viene da un paesino del Molise. Sono uscita per l’università, per poi ritrovarmi a Roma, per la tesi, che rispecchia quello di cui andremo a parlare: ho fatto una tesi sulla banca etica.

Roma mi ha dato tante opportunità dal punto di vista sociale ed umano: ho fatto uno stage in una cooperativa sociale, scoprendo un mondo nuovo, che va dal commercio equosolidale al volontariato con i senza dimora. Già da ragazzina, come gifrina della gioventù francescana, ho respirato l’aria dell’aiuto fraterno. Il volontariato a me dà tanto e lo si dice sempre: si fa volontariato perché si riceve di più di quel che si dà. L’ho sempre fatto, mi ha aiutato a crescere e ha fatto bene a me e alla mia autostima. Prima, ero partita con la gioventù francescana per l’Albania, dove lavoravamo in una casa di accoglienza. E facevano questo servizio: andavano fino a Tirana, alla ricerca dei senza fissi dimora. Mi ricordo ancora di una vecchietta, in una rotonda, e andavamo a parlarle, a portare tè o caffè. Era un modo per fare conoscenza e capire cosa servisse realmente come aiuto. Mi avevano detto che c’era la notte dei senza dimora, che si faceva tanto a Tirana quanto a Roma, così quando sono tornata nella capitale, ci sono andata. Da lì è partito il mio volontariato a Roma, nel 2003.

Roma, città delle tante possibilità

Mi si è aperto un mondo. Tra i senza fissa dimora c’è di tutto: dal bambino, la vecchietta, il trans, l’immigrato. Le problematiche che escono fuori sono talmente tante, i mondi e le culture così diverse fra loro… i tempi poi sono cambiati: allora andavamo proprio alla stazione Termini a dare vestiti, a portare qualcosa di caldo, insieme alle parrocchie. Pensa che ci sono ancora senza fissa dimora che hanno il mio numero e mi chiamano: ne potrei raccontare di storie belle, e pure molto brutte, quando sai che fine abbiano fatto alcuni di loro. Da lì, sia per la mia curiosità e la mia attenzione all’attualità e sia dopo aver visto diversi bambini e ragazzi immigrati allo sbando, ho letto che avevano iniziato dei corsi per diventare tutrice di minori stranieri non accompagnati. Prima non era possibile, ma grazie alla legge Zampa del 2017, c’era questa nuova opportunità, tramite l’autorità garante dei minori. C’è un bando, dove ti devi iscrivere mandando il curriculum e sostenendo un colloquio. Se sei idoneo, puoi partecipare al corso: con frequenza obbligatoria ed esame finale. Il corso era durato circa due mesi, e lo facevo concentrato al fine settimana a causa del mio lavoro. Il corso ti mette davanti quella che sarà la realtà dei fatti: i ragazzi che arrivano possono essere tranquilli oppure con differenti problematiche, e, in ogni caso, con un trauma. Non è una passeggiata; è una responsabilità vera e propria. Una volta superato il corso, decidi se ti vuoi iscrivere all’albo del tribunale. In questo caso, il tribunale dei minori ti chiama quando ha delle richieste di tutori da parte delle strutture. Ti chiamano e ti affidano un ragazzo che decidono loro. Si possono avere fino a tre ragazzi contemporaneamente, anche da parte di strutture diverse. Loro vivono negli sprar, o centri di accoglienza, case-famiglia o gruppi appartamento. A volte te li assegnano quando sono ancora nei centri di prima accoglienze e allora li segui proprio dall’inizio.  

Qual è il ruolo del tutore e della tutrice?

Accompagnare questi ragazzi fino ai 18 anni. Quindi, controllare che nel centro di accoglienza vengano rispettati i loro diritti, occuparti della loro educazione ed essere sempre in prima linea per risolvere qualsiasi tipo di problema: dalla scuola, ai vari permessi di soggiorno all’ottenimento del codice fiscale. Lo segui per le questioni burocratiche e non solo, si diventa comunque parte di una famiglia. Se si riesce ad instaurare un buon rapporto è veramente bello. E poi una parte fondamentale è la relazione e interazione con la struttura: parlare e lavorare insieme con gli operatori e i responsabili, al fine di trovare la strada più giusta per i ragazzi.

Facciamo un esempio: se un ragazzo deve fare una visita medica, te ne occupi tu?

In genere se ne occupa la struttura che, vivendo il ragazzo giorno per giorno, mi chiama e mi informa che c’è bisogno di un visita. Si cerca insieme il posto giusto, in base all’esigenza. Ovviamente, avendo ottenuto il codice fiscale, è più semplice. Per questo, l’aiuto del tutore per la burocrazia che ti permette di ottenere documenti e, in questo caso, il codice fiscale, è importante. Alla visita o vado io o si fa la delega.  

I miei ragazzi

Uno dei due ragazzi di cui sono tutrice oggi ha 12 anni. E frequenta la scuola. Ma i problemi sono iniziati prima che lo conoscessi: c’erano già troppi iscritti e non lo volevano prendere nelle scuole vicino alla struttura. Sono dovuta intervenire prima di conoscerlo. Questo però mi permesso di unirmi fin da subito con la struttura e insieme abbiamo risolto il primo problema.

Ora ho due ragazzi. Io preferisco prenderli più piccoli perché hai il tempo di instaurare un rapporto e creare un percorso. Uno dei primi che ho avuto è albanese, aveva 16 anni. Nonostante dal centro di prima accoglienza, che era a due passi da casa mia, lo avessero spostato in un’altra città fuori Roma, e quindi era due ore di treno ogni volta, sono riuscita a istaurare un bel rapporto. Prima dei 18 anni si ha la possibilità di chiedere il proseguo amministrativo, che dura fino al 21 anni. Se c’è un percorso iniziato, lo si può richiedere, tramite una richiesta al tribunale e altra burocrazia. Devo dire che grazie alla figura della tutrice, questo procedimento viene accelerato. E noi siamo riusciti ad ottenerlo: ora sta facendo un corso regionale per ristorazione, contentissimo e lavora pure e questa è una bella grande storiella. Senza il ruolo della tutrice sarebbe andato a lavorare, senza aver studiato. Sarebbe stata tutta un’altra cosa.

Dei MSNC, minori stranieri non accompagnati, si parla pochissimo. Ma in realtà sono molti: basti pensare che l’anno scorso sono stati oltre 20.000 i loro arrivi, in maggioranza ucraina. Ogni anno cambia la percentuale di chi arriva: dopo l’ucraina, c’erano Egitto Tunisia Albania e Pakistan. Sono tanti e fanno parte del nostro tessuto sociale.

E adesso ci sono molti egiziani e tunisini, a causa delle gravi crisi che ci sono nel loro paese. E poi, sai, noi interagiamo anche con loro famiglie, facciamo le videochiamate, perché questi ragazzi vengono qui per un futuro migliore, come noi andiamo a lavorare all’estero, e questi ragazzi lo fanno soprattutto per mandare poi qualcosa alle famiglie nel loro paese d’origine. Devo dire che vengono prima di tutto con l’idea di studiare, e poi di trovare un lavoro. Solo una volta arrivati qui si rendono conto che non è così facile e non è come si aspettavano.

I ragazzi piccoli vengono inseriti nel sistema scolastico italiano, e questo è molto positivo perché riescono ad integrarsi meglio con i ragazzi italiani. Io vedo benissimo questa differenza tra il ragazzo che va alle medie e parla benissimo l’italiano e interagisce con amici italiani rispetto all’altro ragazzo di cui sono tutrice che, essendo arrivato dopo, fa più fatica. Una delle cose che devono assolutamente fare è prendere la terza media: una volta ottenuta possono fare diversi corsi per lavorare. L’altro giorno sono andata in struttura per il compleanno per uno dei ragazzi e tutti gli altri nella struttura stavano o avevano fatto corsi come parrucchiere, pizzaiolo, un altro ragazzo fa il piastrellista. Sono ragazzi che hanno voglia di lavorare e la nostra figura è proprio quella di accompagnamento, soprattutto per i passaggi burocratici.

Siamo una figura di riferimento in più. Devo dire che ci sono strutture di accoglienza di tutti i tipi: alcune funzionano meglio e altre peggio. Ma non è colpa loro, è pure per questione di tempo, personale scarso e quindi noi diamo una mano in più. Quando li porto in giro, so che possono vivere delle esperienze che in struttura non è possibile esperire. Anche solamente vivere la famiglia del tutore. Molti tutori sono sposati e hanno figli e si crea questa famiglia allargata, e vivono momenti insieme. Mi piace perché è proprio un aiuto concreto. Ne ho avuti tanti di ragazzini. Alcuni non li ho neanche conosciuti. Molti sono di passaggio, si sa: arrivano qui ma vogliono andare in Francia o Germania. Alcuni arrivano nella struttura, nel tempo che viene nominato il tutore, sono già andati via. Ci vuole anche pazienza, ogni tanto è una perdita di tempo: andare in tribunale, fare denuncia di smarrimento. Non è sempre semplice, parliamo di esseri umani e bisogna quindi prendersi le responsabilità per tutto. Però danno tanta soddisfazione.

C’è un momento, che ti porterai per sempre dietro?

Il primo ragazzo, che ora sta studiando, ci sentiamo anche se non sono più la tutrice. Ormai ha compiuto 19 anni, però per qualsiasi cosa io ci sono. Qualsiasi cosa. Se c’è il compleanno dei miei genitori lui chiama, fa parte della famiglia, tant’è che ancora adesso vado ai colloqui scolastici, anche se non mi compete. Mi dà soddisfazione: è bravo e si impegna ed è così bello. Fa parte della famiglia. Anche i due egiziani di cui sono tutrice adesso, se li vedi sembrano fratelli. L’altro giorno siamo andati in giro per Roma e si davano la mano, sono quelle scene per cui ti si scioglie il cuore. Ogni volta che esco con uno, vado a prendere anche l’altro, come una famiglia.

Pubblicato da Grandi Storielle

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