Super G

Era tutto pulito, tutto ordinato. Le lavagne lavate e asciugate, per poi essere riscritte con il solito: «Buongiorno ragazzi, siate il presente piĂč bello del mondo!» Il thermos caldo sulla cattedra dell’aula professori, il riscaldamento acceso da un’oretta circa, e alcuni giornali, di varie testate, accanto al suo immancabile Hemingway sul suo tavolino sgangherato vicino all’ingresso. Un piccolo banco, di quelli tutti incisi dagli studenti sui bordi di legno e marchiati da macchie di inchiostro che non vanno piĂč via. Uno di quelli poco stabili, che balla un po’, e quindi ha alcuni fogli ripiegati posti sotto una delle sue gambe. Ed ecco la solita routine: Teresa, insegnante di scienze, stizzosa e pignola, arrivava prima di tutti e con un accenno lo salutava, ma poi, entrata in sala professori, faceva un gran bel sorriso ritrovandosi il caffĂ© caldo ad attenderla. Era poi il turno di tutti gli altri insegnanti, da Marco che sĂŹ, Ăš vero, insegnava anche religione ma era piĂč conosciuto come abile portiere tra i due alberi, usati come porta, per le partite di calcetto durante l’intervallo; Giulia, viso stropicciato, fondotinta sparso con decise pennellate per il viso, e profumo alla vaniglia, era la miglior insegnante di italiano del mondo. Ma non solo: «Buongiorno Carlo, buongiorno Luisa, la vedo in forma. O Direttore che bello incontrarla, vuole del caffĂ©? Sa, Ăš giĂ  pronto.» E poi arrivavano loro, i bambini. Lui si precipitava fuori come ne sentiva le prime voci. Non indossava neanche il cappotto, usciva cosĂŹ, in divisa, e iniziava a salutare alcune mamme, a chiacchierare con alcune nonne che accompagnavano i nipoti a scuola. Conosceva tutti i nomi, sia degli studenti, che dei loro famigliari. Ecco che salutava lo zio di Beatrice, classe 4B, e iniziavano a commentare le partite di calcio della domenica; ecco che andava ad accogliere i bambini che arrivavano con lo scuolabus. Come sentiva la solita strombazzata del clacson da parte dell’autista, che, indovinate un po’ , era anche lui un suo amico, si infilava una pettorina colorata e andava a dirigere il traffico della piazzetta accanto alla scuola, in modo che non ci fosse alcun pericolo per i suoi bambini. Poi entrava nell’edificio e faceva suonare la campanella. Si metteva seduto sul suo piccolo tavolino, battendo il cinque a tutti gli scolari che entravano. Marta, 3A, era affascinata da questo gigante buono e a casa parlava sempre e solo di lui. Ogni lunedĂŹ gli portava un disegno fatto da lei e molte volte anche qualcosa da mangiare. Fabio, della 1A, riusciva a entrare a scuola solamente dopo le sue parole, altrimenti rimaneva sul pianerottolo e piangere, perchĂ© lui, a scuola, proprio non ci voleva mettere piede. Guglielmo, 5C, il piĂč maleducato, scapestrato, irruente studente che questa piccola scuola elementare avesse mai visto, si fermava a pulire, una volta finito l’orario scolastico, per aiutarlo. E lui, il nostro protagonista, veniva soprannominato Super G, super gigante, per la sua stazza. Due metri e qualche centimetro di gentilezza e di bontĂ . Quando tutti entravano in classe, lui si metteva stretto, stretto nel suo minuscolo banco e leggeva i suoi romanzi e i giornali. CosĂŹ stava accadendo proprio quella mattina, ma mentre leggeva il suo buon vecchio Hemingway aveva sentito una presenza vicino a lui. Era il Direttore. – Vero
 questa mattina anche il direttore Ăš dei nostri
- aveva pensato, e dopo aver fatto la linguetta ad una pagina del libro, si era rivolto verso di lui, strusciando le grandi ginocchia sotto al tavolo.

-Scusi la domanda, ma davvero la chiamano Super G?

-Ebbene, si ahahah!- rispose divertito.

-Ma si puĂČ sapere il suo nome?

-Preferirei di no.

-Eh ascolti qui abbiamo poco da scherzare. È vero che ruba le merende ai bambini?

– Rubare ? Io? No, non ù proprio nel mio stile se permette.

-Si dal caso che mi siano arrivate diverse segnalazioni di alcuni suoi comportamenti, che considero inammisabili. È vero che abbraccia i bambini, li tiene per mano?

– Se hanno paura o bisogno di conforto, solo in quei casi.

– Ah sempre meglio
 ù vero che un ragazzo si ferma oltre all’orario scolastico per aiutarla? Vale a dire per svolgere il lavoro per il quale noi la paghiamo?

-Certo, mi aiuta ogni tanto ma Ăš piĂč che altro un modo per aiutare il ragazzo. Ha bisogno di confrontarsi e di un parere adulto. Ma guardi che se non vuole mica lo faccio lavorare, si mette su una sedia e mi racconta di sĂ©.

– Ah beh certo, mi sembra una cosa normale. Ho paura a chiederle quest’ultima domanda. È vero che lei arriva qui prima dell’orario stabilito nel contratto?

– Si perchù devo scrivere sulle lavagne.

– Come ha detto scusa?

– Ho detto che devo scrivere sulle lavagne e devo prepare i bigliettini della giornata, che lascio qui sul mio tavolino e tutti possono leggere. Sono alcune citazioni che io prendo dalla letteratura e


– Lei ù licenziato.

– Ma come scusi non capisco
 io amo il mio lavoro e poi


– Lei Ăš inopportuno e pericoloso per i bambini.- Pericoloso in che modo?- PerchĂ© lei li tratta come fossero suoi figli e lei il padre.

– Beh, certo perchĂ© io li amo.

– Come sarebbe a dire che li ama, ma senti cosa devo sentirmi dire
 E beh proprio perchĂ© li ama io la devo licenziare, io non mi posso fidare di lei.

– Dev’essere brutto vivere come lei.-

A quel punto si alza, due metri di bontĂ  si innalzano al cielo e guardando il direttore dall’alto, in tutta la sua piccolezza, gli dice : – Mi dispiace per tutti quelli come lei. Tutti quelli che ancora non hanno capito che non esiste amore sprecato, mai. Io qui, dall’alto, vedo tutto in modo diverso, non Ăš un’altezza fisica ma spirituale. Ma cosa puĂČ sapere un povero bidello, mi dirĂ  lei. E allora ecco, me ne vado, portandomi dietro tutto l’amore non richiesto che ho sperperato con quegli abbracci, con quelle merende, con quelle chiacchiere, con le mie parole per loro. Lei mi potrĂ  licenziare ma io domani mattina sarĂČ qui fuori dalla scuola, e dopodomani anche e per tutta la settimana porterĂČ il thermos caldo per gli insegnanti, prenderĂČ i disegni di Marta e parlerĂČ con Guglielmo nel doposcuola. Lei mi potrĂ  licenziare come bidello ma non con Super G, perchĂ©, vede, non Ăš vero che significa ‘‘Super gigante’’ ma ‘‘Super Gentilezza’’ e quella, caro il mio Direttore, Ăš a contratto indeterminato!-

Super G o super K?

Everything was clean, everything was tidy: the blackboards, washed and dried, showing the sentence Good morning guys, be the best present ever! The hot thermos on the desk of the teacher’s classroom, the heating, which had been on for about one hour, and some newspapers, of various headlines, next to the indispensable Hemingway on the small wobbly desk near the entrance. One of those engraved by the students on the wooden edges and marked with ink spots forever. This wobbly desk was made stable by some papers folded under one of its legs. And here is the usual routine: Teresa, an irritable and pedantic science teacher, used to arrive before everyone else and used to greet him. But then, while entering the teachers’ classroom, she managed to get a big and beautiful smile when she found her hot coffee waiting for her. And then it was the turn of all the other teachers: Marco taught religion but was better known as a skilled referee between the two trees used as goalposts during the break. Giulia, the best Italian teacher in the world, usually had a tired face, sharp strokes of foundation cream and vanilla fragrance. Then: “Good morning Carlo, Good morning Luisa, you are in great shape. Headmaster, how nice to meet you, would you like some coffee? It is ready”. And then came the children. He would rush out as soon as he heard their voices. He was not even wearing a coat, he would go out in his uniform, and greet mothers, made small talks with grandmothers who accompanied their grandchildren to school. He knew all the first names of the students and their families. He greeted, among others, Beatrice’s uncle (4B) and the two of them would start commenting on Sunday’s football matches, and then he would welcome the children who arrived by bus. When he heard the usual long and loud honking from the driver, who, guess what, was also one of his friends, he would put on a colorful bib. He would direct the traffic in the small square next to the school so that there would be no danger for his children. Then he would enter the building and ring the school bell. He would sit on his little table and give a high five to all the students who entered. Marta, 3A, was fascinated by this gentle giant and she only talked about him at home. Every Monday, she would bring him a drawing she had made and sometimes also something to eat. Fabio, 1A, would only enter his classroom after hearing his words, otherwise he would stay on the landing and cry, because he really did not want to go to school. Guglielmo, 5C, the most reckless, impulsive and rude student in this small school, would help him clean up after school. Our protagonist was called Super G, super giant, because of his build: two meters and a few centimeters of kindness and goodness. When everyone entered the classroom, he would sit down and start reading his novels and newspapers, huddled in his little desk. That morning, while he was reading his old Hemingway, he had felt a presence near him. It was the Headmaster. – This morning also the Director is with us
 – he had thought and, after bending the page of the book, he turned towards him, scraping his big knees under the table.

– Sorry for asking, but do they really call you Super G?

– Well yes, ah ah ah ah! he replied amused.

– But could I know your real name?

– I would rather not mention it.

– Look, there is no time for jokes. Is it true that you steal snacks from children?

– Me? Sorry, I am not the kind of person who would steal from people.

– Yet, I have received several reports of some of your behaviors that I consider unacceptable. Is it true that you hug the children or hold their hands?

– Yes, only if they are scared or if they need comfort.

– Also, is it true that there is a boy who helps you with the cleaning after school?

– Of course, sometimes he helps me, but it is more a way to help the kid. He needs to talk and more importantly, he needs an adult’s opinion. If he does not want to work, I will not make him work, he just sits down and tells me about himself

– Oh sure, that seems normal to me. I am afraid to ask you this last question. Is it true that you arrive here before the contractually agreed time?

– Yes, because I have to write on the blackboards.

– Sorry?

– I said I have to write on the blackboards and I have to prepare the quotes of the day and leave them on my little table for everyone to read.

– You are fired.

– No wait, I don’t get it
 What? I love my job and then


– Your behavior is inappropriate and dangerous for the children.

– Dangerous in what sense?

– In the sense that it is as if they were your children and you, their father.

– Of course, because I love them.

– What do you mean by “I love them”? That is why I have to fire you, because you love them. I cannot trust you.

– Your life seems to be sad.

At that moment he stood up, two meters of kindness rose to the sky and, looking at the headmaster from above, he told him: -I am sorry for all those people who are like you. All those who still have not understood that love is never wasted, never. I see everything differently from above and I am not talking about a physical height, but a spiritual one. “What does a poor janitor know about it”, you will think. So, here I go, and I will bring with me all the unneeded love that I have wasted with hugs, snacks, chats, with my words for them. You can fire me, but tomorrow morning I will be here in front of the school, and the day after tomorrow as well and every week I will bring hot thermos for the teachers, I will take Marta’s drawings and I will talk to Guglielmo after school. You can fire me as a janitor, but not as “Super G” or, even better “Super K” which means “Super Kind”. My dear headmaster, kindness is a permanent contract.

Super G

Tout Ă©tait propre, tout Ă©tait rangĂ©. Les tableaux noirs, effacĂ©s et nettoyĂ©s, sur lesquels on retrouvait chaque jour la mĂȘme phrase Bonjour les enfants, restez le meilleur avenir du Monde ! Le thermos chaud sur le bureau de la salle des professeurs. Le chauffage allumĂ© depuis une heure environ. Et des journaux, de titres divers, Ă  cĂŽtĂ© de son indispensable Hemingway, sur le petit banc bancal de l’école prĂšs de l’entrĂ©e. Un d’eux, gravĂ© par les Ă©tudiants sur le bord en bois, et tachĂ©s d’encre Ă  jamais. Ce banc-lĂ , chancelant, Ă©tait stabilisĂ© grĂące Ă  des papiers pliĂ©s sous un de ses pieds. Et voici la routine habituelle : Teresa, professeur de science, irritable et tatillonne, arrivait avant tout le monde et le saluait. Ensuite, quand elle entrait dans la salle des professeurs, elle faisait un trĂšs grand sourire en trouvant le cafĂ© chaud qu’il l’attendait. Ensuite, c’était le tour de tous les autres professeurs : Marco, professeur de religion, Ă©tait surtout connu comme Ă©tant habile gardien des cages formĂ©es par les deux arbres pendant la rĂ©crĂ©ation. Giulia, au visage fatiguĂ©, au fond de teint franchement Ă©talĂ© et au parfum de vanille, Ă©tait le meilleur professeur d’italien au monde. Cela n’est pas tout : « Bonjour Carlo, bonjour Luisa, vous ĂȘtes en pleine forme. Oh Directeur, quel plaisir de vous rencontrer, voulez-vous du cafĂ© ? Il est dĂ©jĂ  fait Â». Et puis, c’était le tour des enfants. DĂšs qu’il entendait les premiĂšres voix, il courait dehors. Il ne portait mĂȘme pas de manteau, il sortait en uniforme, et saluait les mĂšres, discutait avec les grands-mĂšres qui accompagnaient leurs petits enfants Ă  l’école. Il connaissait tous les prĂ©noms des Ă©tudiants et de leur famille. Il saluait, entre autres, l’oncle de BĂ©atrice (CM1 B) et les deux commençaient Ă  commenter les matchs de football du dimanche, et ensuite, il accueillait les enfants qui arrivaient en bus. Lorsqu’il entendait le klaxon habituel du chauffeur, qui, devinez quoi, Ă©tait aussi un de ses amis, il enfilait un plastron colorĂ©. Il allait diriger la circulation sur la petite place Ă  cĂŽtĂ© de l’école, afin qu’il n’y ait pas de danger pour ses enfants. Ensuite, il entrait dans le bĂątiment et sonnait la clochette. Il s’asseyait sur sa petite table, et tapait dans la main tous les Ă©coliers qui entraient. Marta, CE2 A, Ă©tait fascinĂ©e par ce doux gĂ©ant et, chez elle, elle ne parlait que de lui. Chaque lundi, elle lui apportait un dessin qu’elle avait fait et quelquefois aussi des choses Ă  manger. Fabio, CP A, entrait dans sa classe seulement aprĂšs avoir entendu ses paroles, sinon il restait sur le palier et pleurait, parce qu’il ne voulait vraiment pas aller Ă  l’école. Guglielmo, CM2 C, l’élĂšve le plus impoli, le plus perturbateur, le plus impĂ©tueux de cette petite Ă©cole, l’aidait Ă  nettoyer aprĂšs ses cours. Et lui, notre protagoniste, Ă©tait surnommĂ© Super G, super gĂ©ant, Ă  cause de sa taille. Deux mĂštres et quelques centimĂštres de gentillesse et de bontĂ©. Lorsque tout le monde entrait dans la classe, lui, s’asseyait et commençait Ă  lire ses romans et ses journaux, serrĂ© dans son petit bureau. Ce matin-lĂ , pendant qu’il lisait son vieux Hemingway, il avait ressenti une prĂ©sence prĂšs de lui. C’était le Directeur. – Ce matin aussi le Directeur est parmi nous
 – , avait-il pensĂ© et, aprĂšs avoir cornĂ© la page du livre, s’était tournĂ© vers lui, en entrechoquant ses gros genoux sous la table.

Veuillez excuser ma question, mais est-ce qu’on vous appelle vraiment Super G ?

Eh bien oui, ah ah ah! Répondit-il amusé

Mais pourrais-je savoir votre vrai prĂ©nom ?

Je préfÚre ne pas le dire

Ecoutez, ce n’est pas le moment de plaisanter. Est-il vrai que vous volez le goĂ»ter aux enfants ?

Voler ? Moi ? Non, ce n’est vraiment pas mon truc.

Il se trouve que j’ai reçu plusieurs rapports sur certains de vos comportements que je considĂšre inacceptables. Est-il vrai que vous serrez les enfants dans vos bras ou que vous leur tenez la main ?

Oui, s’ils ont peur ou s’ils ont besoin de rĂ©confort, mais seulement dans certain cas.

De plus, est-il vrai qu’il y a un garçon qui vous aide avec le nettoyage aprĂšs ses cours ? C’est-Ă -dire pour faire le travail pour lequel vous ĂȘtes payĂ© ?

Bien sĂ»r, parfois il me prĂȘte main forte mais c’est plus une façon d’aider le gamin. Il a besoin de parler et surtout, il a besoin de l’avis d’un adulte. S’il ne veut pas travailler, je ne le ferai pas travailler, juste il s’assoit et me parle de lui.

Ah bien sĂ»r, cela me semble normal. J’ai peur de vous poser cette derniĂšre question. Est-il vrai que vous arrivez ici avant l’heure convenue par contrat ?

Oui, parce que je dois écrire sur les tableaux noirs.

Pardon ?

J’ai dit que je dois Ă©crire sur les tableaux noirs et je dois prĂ©parer les bouts de papier du jour que je laisse sur ma petite table pour que tout le monde puisse les lire. J’y inscrit des citations que je tire de la littĂ©rature


-Vous ĂȘtes virĂ©.

-Non attendez, je ne comprends pas du tout
 moi, j’aime mon travail et puis


-Votre comportement est déplacé et dangereux pour les enfants

-Dangereux dans quel sens ?

-Dans le sens que c’est comme s’ils Ă©taient vos enfants et vous leur pĂšre

-Bien sûr, parce que je les aime.

-Que voulez-vous dire par « je les aime », vous vous entendez ? C’est pour cette raison je dois vous virer, parce que vous les aimez. Je ne peux pas vous faire confiance.

-Votre vie a l’air d’ĂȘtre triste

A ce moment-lĂ  il se lĂšve, deux mĂštres de bontĂ© se sont Ă©levĂ©s vers le ciel et, regardant le Directeur d’en haut dans toute sa petitesse, il lui dit : -Je suis dĂ©solĂ© pour tous ceux qui sont comme vous. Tous ceux qui n’ont toujours pas compris qu’aucun amour n’est gaspillĂ©, jamais. D’en haut, je vois tout diffĂ©remment et je ne parle pas de taille physique, mais disons d’une dimension spirituelle. Mais qu’est-ce qu’il en sait un pauvre concierge, me diriez-vous. Alors je m’en vais et j’amĂšne avec moi tout l’amour non demandĂ© que j’ai gaspillĂ© avec les cĂąlins, les goĂ»ters, les causettes, avec mes mots pour eux. Vous pouvez me virer, mais demain matin je serai ici devant l’école, et aprĂšs-demain aussi et j’emmĂšnerai le thermos chaud pour les professeurs toute la semaine, je prendrai les dessins de Marta et je parlerai Ă  Guglielmo aprĂšs l’école. Vous pouvez me virer en tant que concierge, mais pas en tant que Super G qui ne signifie pas « Super GĂ©ant », mais « Super Gentillesse » et cela, mon cher Directeur, est un contrat Ă  durĂ©e indĂ©terminĂ©e !

Super G

Alles war sauber, alles war aufgerĂ€umt. Auch die schwarzen Tafeln waren frisch gewischt, bis auf einen Satz, den man dort jeden Morgen fand: „Guten Morgen Kinder, ihr seid die beste Zukunft dieser Welt!“. Die Thermoskanne, voll mit heißem Kaffee, stand auf dem Tisch im Lehrerzimmer bereit. Die Heizkörper waren schon vor einer guten Stunde eingeschaltet worden. Und die Zeitungen, die unterschiedliche Schlagzeilen trugen, lagen auf der kleinen wackeligen Bank, die sich nicht weit vom Eingang der Schule befand, bereit; neben ihnen dieses Mal ein Werk von Hemmingway. Die Lehne jener Bank war voll mit Kritzeleien der SchĂŒler und Tintenflecken. Einer der FĂŒĂŸe wurde von einem klein gefaltetem PapierstĂŒck gestĂŒtzt.

So ging die tĂ€gliche Routine los: Teresa, die pingelige und leicht reizbare Naturwissenschaftslehrerin, kam vor allen anderen an und grĂŒĂŸte ihn. Als sie das Lehrerzimmer betrat, konnte sie sich, beim Anblick des heißen Kaffees, der sie dort erwartete, ein LĂ€cheln kaum verkneifen. Dann kamen nach und nach die anderen Lehrer: Marco, der Religionslehrer, der vor allem als geschickter TorschĂŒtzer wĂ€hrend der großen Pause bekannt war.

Julia, mit mĂŒdem Gesicht, die aber durch gleichmĂ€ĂŸig aufgetragenes Make Up und einen zarten Vanilleduft frisch wirkte, war die beste Italienischlehrerin, die man sich nur wĂŒnschen konnte. Das waren nicht alle: „Guten Morgen Karl, guten Morgen Luisa, ihr seht aber motiviert aus heute! Oh, Herr Direktor, was fĂŒr eine Freude, Sie zu sehen, möchten Sie eine Tasse Kaffee? Er ist noch heiß.“ Und dann kamen die Kinder. Sobald er ihre Stimmen aus der Ferne hörte, lief er nach draußen. Er zog nicht einmal einen Mantel an, sondern trug nur seinen Arbeitsanzug. Zuerst grĂŒĂŸte er die MĂŒtter und sprach mit den Großeltern, die ihre Enkel zur Schule brachten. Er kannte alle Vornamen der SchĂŒler und die ihrer Familienmitglieder. Dann winkte er dem Onkel von Beate (3. Klasse) zu und die beiden fingen an, ĂŒber das Fußballspiel vom letzten Sonntag zu diskutieren, anschließend empfing er die Kinder, die mit dem Bus zur Schule kamen.

Sobald er die Hupe des Busfahrers hörte, der, wer hĂ€tte es gedacht, auch einer seiner Freunde war, zog er eine leuchtende Warnweste ĂŒber. Er regelte damit den Verkehr auf dem kleinen Platz vor der Schule, damit es keine Gefahr fĂŒr seine Kinder gab. Dann ging er ins SchulgebĂ€ude und lĂ€utete die Glocke. Er setzte sich auf seinen kleinen Hocker und gab allen SchĂŒlern beim Eintreten ein High Five. Marta, aus der 4. Klasse, war begeistert von diesem sanftmĂŒtigen Riesen und sprach zuhause nur von ihm. Jeden Montag brachte sie ihm eine Zeichnung und manchmal sogar eine Kleinigkeit zu essen. Fabian, Klasse 1A, betrat seine Klasse erst, sobald er mit ihm gesprochen hatte, ansonsten blieb er auf dem Treppenabsatz sitzen und weinte, weil er eigentlich gar keine Lust hatte, zur Schule zu gehen. Wilhelm, Klasse 2C, der frechste, stĂŒrmischste Störenfried der Schule, half ihm nach dem Unterricht mit dem Putzen. So wie es kommen musste, trug er, unser Protagonist, wegen seiner GrĂ¶ĂŸe den Namen Super G – Super Groß. Zwei Meter und einige Zentimeter an Freundlichkeit und GĂŒte. Sobald alle SchĂŒler in ihren Klassen waren, setzte er sich hin und las seine Romane und Zeitungen, die er in seinem kleinen Schreibtisch aufbewahrte. An jenem Morgen, als er wieder einmal seinen alten Hemmingway las, spĂŒrte er plötzlich jemandes Anwesenheit. Es war der Direktor. „Ah, heute Morgen ist auch der Direktor unter uns
“, dachte er, und, nachdem er die Seite seines Buches eingeknickt hatte, drehte er sich zu ihm um, wĂ€hrend seine großen Knie unter dem BĂŒrotisch aneinanderstießen.

Der Direktor, die Stirn runzelnd, erhob das Wort:

In diesem Moment erhob er sich, zwei Meter und ein paar Zentimeter an Freundlichkeit und GĂŒte. Er sah dem Direktor, der von oben ganz klein wirkt, direkt in die Augen und sagte: „Es tut mir wirklich leid fĂŒr alle, die so sind wie Sie. All jene, die immer noch nicht verstanden haben, dass kein bisschen Liebe je verschwendet ist, niemals. Von oben sehe ich alles anders, und ich spreche nicht von physischer GrĂ¶ĂŸe. Aber was weiß ein armer Hausmeister schon, sagen Sie es mir. Ich gehe und nehme all meine unerwĂŒnschte Liebe, die ich mit Umarmungen, Pausenbroten, GeschwĂ€tz und Worten den Kindern gegeben habe, mit mir mit. Sie können mich feuern, aber morgen FrĂŒh werde ich vor der Schule stehen und Übermorgen auch und mit der heißen Thermoskanne die ganze Woche auf die Lehrer warten, ich werde die Zeichnungen von Marta entgegennehmen und mich nach dem Unterricht mit Wilhelm unterhalten. Sie können mich als Hausmeister feuern, aber nicht als Super G, denn das G steht nicht fĂŒr „Super Groß“, sondern fĂŒr „Super GroßzĂŒgig“ und das, mein lieber Herr Direktor, ist ein Vertrag fĂŒr die Ewigkeit!

-Entschuldigen Sie die Frage, aber nennt man Sie wirklich Super G?

AmĂŒsiert. Aber natĂŒrlich, haha!

-Aber dĂŒrfte ich auch Ihren richtigen Vornamen erfahren?

-Mir ist es lieber ihn geheim zu halten. Augenzwinkern.

-Hören Sie zu, das ist nicht der richtige Moment, um SpĂ€ĂŸe zu machen. Ist es wahr, dass Sie den Kindern das Pausenbrot stehlen?

-Stehlen? Ich? Aber nicht doch!

-In der Tat habe ich mehrere Berichte ĂŒber Ihr Verhalten bekommen, das ich vollkommen inakzeptabel finde. Ist es wahr, dass Sie die Kinder umarmen und ihnen die Hand geben?

-Ja, wenn sie Angst haben und getröstet werden mĂŒssen, aber das kommt nicht oft vor.

-Außerdem, ist es wahr, dass ein Junge Ihnen nach dem Unterricht beim Putzen hilft? Das heißt, dass er die Arbeit macht, fĂŒr die Sie bezahlt werden?

-NatĂŒrlich, manchmal unterstĂŒtzt er mich, aber das ist auch eine Art, dem Jungen zu helfen. Er hat es nötig, sich zu unterhalten und braucht die Meinung eines Erwachsenen. Wenn er nicht arbeiten will, muss er das nicht, er kann sich auch einfach hinsetzen und erzĂ€hlen.

-Ah ja, das erscheint mir vollkommen normal. Ich scheue mich davor, Ihnen diese letzte Frage zu stellen. Ist es wahr, dass sie bereits vor Ihrer gesetzlichen Arbeitszeit zur Schule kommen`?

-Ja, weil ich auf die Tafeln schreiben muss.

-Entschuldigen Sie mich?

-Ich habe gesagt, dass ich auf die Tafeln schreiben muss und dass ich die kleinen Papierzettel fĂŒr das Tischchen am Eingang vorbereiten muss, damit jeder sie lesen kann. Ich schreibe darauf Zitate, die ich in BĂŒchern finde


-Sie sind gefeuert.

-Nein, warten Sie, ich verstehe nicht
 ich liebe doch meine Arbeit und


-Ihr Verhalten ist gefĂ€hrlich fĂŒr unsere SchĂŒler.

-GefÀhrlich? Wieso das denn?

-Und zwar aus dem Grund, weil Sie sich so verhalten, als wÀren es Ihre Kinder und Sie ihr Vater.

-NatĂŒrlich, ich liebe sie ja!

-Was wollen Sie damit sagen, Sie „lieben“ sie? Hören Sie sich doch einmal selbst zu! Das ist der Grund, wieso ich Sie feuern muss, weil Sie sie lieben. Ich kann Ihnen nicht vertrauen.

-Ihr Leben erscheint mir traurig.

In diesem Moment erhob er sich, zwei Meter und ein paar Zentimeter an Freundlichkeit und GĂŒte. Er sah dem Direktor, der von oben ganz klein wirkt, direkt in die Augen und sagte: „Es tut mir wirklich leid fĂŒr alle, die so sind wie Sie. All jene, die immer noch nicht verstanden haben, dass kein bisschen Liebe je verschwendet ist, niemals. Von oben sehe ich alles anders, und ich spreche nicht von physischer GrĂ¶ĂŸe. Aber was weiß ein armer Hausmeister schon, sagen Sie es mir. Ich gehe und nehme all meine unerwĂŒnschte Liebe, die ich mit Umarmungen, Pausenbroten, GeschwĂ€tz und Worten den Kindern gegeben habe, mit mir mit. Sie können mich feuern, aber morgen FrĂŒh werde ich vor der Schule stehen und Übermorgen auch und mit der heißen Thermoskanne die ganze Woche auf die Lehrer warten, ich werde die Zeichnungen von Marta entgegennehmen und mich nach dem Unterricht mit Wilhelm unterhalten. Sie können mich als Hausmeister feuern, aber nicht als Super G, denn das G steht nicht fĂŒr „Super Groß“, sondern fĂŒr „Super GroßzĂŒgig“ und das, mein lieber Herr Direktor, ist ein Vertrag fĂŒr die Ewigkeit!

Pubblicato da Grandi Storielle

Siamo sei ragazze, Carola, Celia, Hannah, Livia, Morena e Sara che si sono conosciute in Erasmus a Chambéry e hanno ora deciso di mettere a disposizione la loro piccola ma grande arte per tutti.

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