Mi chiamo Alexandru e la mia grande storiella è legata a tutte quelle persone che hanno deciso di cambiare vita, prevalentemente per motivi economici, spostandosi dal loro paese natale ad un altro.
Io sono nato in Romania, in un paesino che si chiama Bârlad. Il paese in cui ho vissuto i miei primi otto mesi di vita si chiama Fălciu, nel comune di Vaslui.
Nasco e vivo per i miei primi otto mesi lì, in compagnia di entrambi i genitori. Papà, ad un certo punto, decide di spostarsi e di venire qua in Italia, per iniziare a lavorare e cercare di mettere da parte un po’ di soldini, per garantire un futuro migliore alla mia famiglia. Sempre per necessità economiche, mia madre lo segue poco dopo.
A quel tempi, non essendo la Romania nell’Unione Europea, veniva difficile spostarsi con tutta la famiglia. Decidono di lasciarmi in custodia a mia zia, la sorella maggiore di mia madre, che raggiungerà mio padre poco dopo, in Piemonte.
Mio padre racconta sempre che lui è arrivato a Torino solo con la foto di una persona che forse sarebbe venuto a prenderlo. Lui inizia a lavorare nei cantieri, mia mamma lo raggiunge e insieme vivevano da questa persona, a Sciolze, che ospitava stranieri per farli lavorare, dando in cambio vitto e alloggio, oltre ad un’umile paga mensile. Purtroppo non so dire molto di quel periodo, se non che mio padre lavorava nell’ambito edilizio e mia mamma faceva le pulizie. In realtà i miei mi hanno sempre un po’ tenuto all’oscuro di questo passato: so che esiste ma viene vista come acqua passata, come un periodo della vita di cui non si ha un gran ricordo, credo ci sia anche un po’ di vergogna. Vivevano in una casa insieme ad altre persone, non c’era mai un momento di intimità, e mia mamma dice che preferiva non rimanere mai sola con il proprietario, non so altro.
Nel frattempo io sono in Romania. Non ho molti ricordi nitidi.
C’è però una figura di riferimento incredibile: mia zia, la sorella di mia mamma. Da piccolo mi hanno sempre raccontato quale fosse la verità: cioè che la mia vera mamma e il mio vero papà fossero in Italia a lavorare. Nonostante questo, essendo io piccolo e vivendo sempre insieme con loro, ho iniziato a chiamare mamma e papà, mia zia e mio zio. Pensa che da piccolo, in modo ingenuo, mi vantavo di avere due mamme e due papà: ma io chiamavo mamma Mimi e papà Cri i miei veri genitori; mentre chiamavo semplicemente “mamma” e “papà” quelli che in realtà erano i miei zii.
Quindi dei primi anni ho vaghi ricordi: mi ricordo l’appartamento dove vivevo con gli zii; mi ricordo una volta di aver visto gli orsi, che tendevano a venire verso il centro abitato; e mi ricordo del cartone animato Monsters & Co.
L’arrivo in Italia
Vengo in Italia all’età di 4 anni e mezzo: quindi per quasi l’intero periodo, a parte i mesi iniziali, io non ho più visto i miei genitori. Non sono mai tornati in Romania, neanche per l’estate. Quando ho quattro anni e mezzo, dato che avevano trovato una nuova sistemazione in Italia, dove mi potevano portare, mi vengono a prendere e con un viaggio in bus di diverse ore arriviamo alle suore di Castelletto, a Castiglione torinese.
Mia mamma lavorava da loro, si occupava probabilmente di lavaggio piatti o altre mansioni per la mensa. Mio padre in quel periodo stava cambiando lavoro: entra in una fabbrica di legatoria, dove stampano e rilegano libri. Di quel periodo mi ricordo bene di suor Pierina, la portinaia. In generale, ho un ricordo bellissimo di quel posto, pieno di verde, isolato col mondo esterno. Mi ricordo di questa strada in mezzo al verde del giardino, dove andavo in bicicletta come come un matto. Mi è sempre piaciuta un po’ la velocità, e passavo le mie giornate a girare in bicicletta e a far urlare Suor Pierina. Ma ci divertivamo!
Ho subito iniziato a frequentare l’ultimo anno di asilo. Ho vaghi ricordi se non del mio giocattolo preferito: il trattore con i pedali, e io ci passavo ore a giocare nel cortile dell’asilo. Credo di aver imparato quasi subito a parlare italiano, sono sicuro di essere arrivato alle elementari che lo capivo e lo sapevo parlare. L’unica difficoltà che rimaneva, per me, erano le doppie, perché nella lingue rumena non esistono.
L’integrazione
Non ho mai avuto problemi di integrazione, forse anche perché non cercavo troppo il contatto, mi piaceva rimanere solo: mi bastava la mia macchinina. Ero un po’ chiuso. Ma in realtà, essendo andato a scuola subito e avendo iniziato a fare calcio, non ho mai sentito differenze o ingiustizie. Diventare amici da piccoli è semplice.
Devo però ammettere che non ho mai avuto grossi problemi anche per il mio carattere. Se ricevevo critiche o battute relative al fatto di essere rumeno facevo finta di nulla, non ci davo peso. Però si era brutto, magari tra i compagni di calcio, dover sentire che dicevano a qualcun altro: “rumeno di merda” e poi si giravano verso di me e mi dicevano “No, non tu no.” Io ho sempre chiuso un occhio.
Però qualcosa di molto più grave è successo a mia mamma. Nel 2005, mia mamma era incinta di mio fratello. Anche questa è una storia che io ho scoperto da poco, perché, come ti dicevo, non si parla quasi mai del passato.
Durante la gravidanza e i vari controlli, le era stata diagnosticata la sifilide, una malattia che viene trasmessa sessualmente. Essendo i miei genitori stranieri, il dottore insinua il dubbio che mio padre andasse anche con altre donne. Le chiede se mancasse di casa per giorni. Lei rispondeva di no, lui non sembrava crederle. Mia mamma per fortuna si è recata da una ginecologa tosta, che non sembrava troppo stupita, come se non fosse la prima volta che le capitava una situazione simile. Mia mamma le ha giurato che fosse impossibile che mio padre l’avesse tradita. Vengono quindi prescritte nuove visite. Insomma, alla fine di questa storia, si è scoperto che in ospedale avevano invertito la cartella di mia mamma con quella di un’altra persona. Col senno di poi era da denuncia, però anche lì si è chiuso un occhio: si era felici che fosse andato tutto bene. Poteva mettere molto in crisi anche la coppia, e credo non abbia passato un periodo bello mia mamma, incinta del suo secondo figlio, quando venne a sapere della diagnosi. E invece è andato tutto bene, è arrivato mio fratello nel gennaio del 2006.
Lui si è sempre sentito particolarmente legato alla vita italiana, perché comunque l’ha vissuta in pieno, fin dall’inizio, eppure, allo stesso tempo, è legato molto di più alla vita rumena rispetto a me.
La mamma-zia
Il rapporto con mia zia non è mai cambiato. Quando vado in Romania, la vado a trovare: è un pezzo molto importante della mia vita e io sono sicuramente un pezzo molto importante della sua. Ha sempre ripetuto che non avrebbe mai più fatto uno sbaglio del genere, perché è vero che non ero suo figlio, però mi ha cresciuto come se lo fossi, non posso immaginare quanto abba sofferto quando me ne sono andato: è come se le avessero strappato un figlio. Io magari posso non ricordare tutto ma su una cosa sono certo: se sono così, se ho questo carattere, o determinati comportamenti, pensieri, io so che questo dipende da loro, dalla loro educazione.
Una festa meritata, un traguardo per un’intera famiglia
Nel frattempo io vado avanti con le medie e le superiori. E come si è visto fin dai miei giocattoli da piccolo, dalla bicicletta, il trattore e le macchine, mi iscrivo al politecnico di Torino, seguendo ingegneria dell’autoveicolo. Mi sono laureato da poco, anche alla laurea magistrale, è stato un traguardo non solo per me, ma per la famiglia. Penso che in famiglia sia il primo ad aver raggiunto questo traguardo.

C’è stata davvero tanta felicità e questo è un traguardo che dedico a loro: non amavo studiare, non ho mai amato studiare nella mia vita, facevo il minimo indispensabile per arrivare alla sufficienza., però loro hanno sempre lottato, con me, per continuare. Tutto questo è servito: andando avanti i miei risultati sono migliorati fino a portarmi a questo grandissimo traguardo con la laurea in ingegneria dell’autoveicolo.