La grande storiella di Maryam

Una grande storiella di cittadinanza e buste della spesa

Chi sei e qual è la tua grande storiella?

Io sono Maryam e la mia storiella rientra in una storia più grande: la grande storia di tutti quei ragazzi e quelle ragazze di seconda generazione, che da anni non vengono riconosciuti come cittadini italiani veri e propri, ma sempre a metà e a volte per nulla.

Infanzia e giovinezza in un equilibrio squilibrato.

Sono nata in Marocco, in una piccolissima cittadina, vicino a Marrakesh, nel ’97. Mio padre, all’epoca, viveva in Italia da parecchi anni. Aveva una sua stabilità a Torino, mentre noi continuavamo a vivere nella nostra terra d’origine. Nel 2000, ha fatto domanda per il ricongiungimento familiare e nel 2001, finalmente, riusciamo a raggiungerlo in Italia. Eravamo io, mia mamma e mia sorella Esmé. Arriviamo a Torino il 9 settembre del 2001, dove comincio il penultimo anno di asilo, di cui ricordo poco. Ricordo solo che la prima parola che ho imparato in italiano è stata marmellata. A casa parlavamo solamente marocchino e facevo molto fatica, all’asilo, a farmi comprendere. C’era sempre quella questione di non riuscire capire chi fossi, perché fossi lì, perché gli altri riuscissero ad esprimersi meglio di me. Alle elementari, questa cosa diventa un pochino più grande. Tutti i miei compagni e le mie compagne entravano a scuola parlando italiano: io non sapevo neanche una lettera dell’alfabeto. Lì nasce e cresce in me l’idea di dover sempre dimostrare qualcosa in più, per essere riconosciuta italiana come loro. E quindi, inizio a lavorare molto sulla lingua, perché è marcatore sociale ed identitario. In poco tempo divento molto brava in italiano, eccello in matematica, divento la più brava della classe: riuscivo a sentirmi, in qualche modo, stimata dagli altri. Questo mi dava forza, mi dicevo: “Brava ce l’hai fatta.” Il periodo delle elementari è stato tranquillo. Alle medie, invece, le domande si fanno più grandi e molteplici. Vado in una scuola di periferia, dove la maggior parte dei miei compagni era composta da ragazzi di seconda generazione, in Barriera di Milano, (ndr. Barriera di Milano è un quartiere periferico a Torino). Erano ragazzi che iniziavano a vivere quel disagio di non sentirsi né da una parte e né da un’altra: sempre a metà.

Di dove sei… veramente?

C’è una linea di confine che ti mette davvero in crisi, soprattutto in un periodo così delicato, come l’adolescenza, in cui è difficile razionalizzare questo sentimento, metabolizzarlo. Iniziavo a notare una linea di confine molto più grande tra i miei compagni “davvero italiani” e noi. Noi che non eravamo né una cosa e né l’altra. E quando ti chiedevano di dove fossi, tu avevi bisogno di almeno due minuti per capire cosa rispondere: da una parte rinnegare le tue origini è da vigliacchi, no? Dall’altra parte vorresti dire: «Guarda che io sono come te, abbiamo fatto la stessa vita, in questa zona di periferia, a Torino. Abbiamo tutti gli stessi problemi sociali, economici… io forse ne ho avuto uno in più, quello identitario». La domanda «Di dove sei?» riesce a mettermi ancora in crisi adesso, a 25 anni. Perché bisogna sapere che non esiste un dosaggio: non ci si sente metà marocchini e metà italiani. Non esiste una percentuale se non quella per cui ci sentiamo 100% italiani e 100% marocchini. Questa è un’idea che si fa fatica ad esprimere in Italia. Arriviamo al liceo. C’è più consapevolezza, vuoi iniziare a dimostrare che: “Sai, sono come te ma sono anche diverso di te.” Vuoi iniziare a dimostrare il tuo valore aggiunto. In quel periodo, i problemi iniziano ad essere più concreti. Ad esempio, se si deve andare in gita a Londra. Il professore arriva mesi prima in classe dicendo: «Chi di voi non ha la cittadinanza italiana? Perché dobbiamo fare una richiesta speciale per voi.» Si cominciano così a vedere come i problemi possano essere molto più pratici e cominci ad entrare in contatto con tutta la burocrazia. In realtà, già da piccoli noi entriamo in contatto con la burocrazia. Accompagniamo i genitori in questura per rinnovare il permesso di soggiorno, facciamo da mediatore culturali, ruolo che non ci compete: io volevo solo essere bambina. Ti viene attribuito un ruolo che non è tuo, non lo vuoi, però dall’altra parte senti che devi farlo, nessuno può farlo meglio di te in quel momento. Mi ricordo, da piccoli, le code immense in questura, a Torino, dove c’era un’area giochi per i bambini, perché sapevano che sarebbero dovuti stare lì almeno 4 o 5 anche 6 ore ad aspettare i genitori, per il rinnovo del permesso di soggiorno. Quindi il liceo è il primo grande scontro con la realtà, che ti porta ad informarti su quali siano i tuoi diritti da ragazzo o ragazza di seconda generazione in Italia. Che ruolo ho in questa società? Che ruolo mi riconosci tu, Stato? Inizio a fare ricerche sulle leggi per la cittadinanza che ci sono in Italia e rimango sbalordita. Perché nonostante io fossi arrivata all’età di tre anni, non essendo nata sul suolo italiano, dovevo aspettare dieci anni di residenza e i miei genitori dovevano avere un ISEE abbastanza alto per fare domanda di cittadinanza. Un ISEE che, onestamente, in quel periodo, non potevamo assolutamente raggiungere: era impossibile per noi. Ricorda che i figli che ottengono con i genitori la cittadinanza sono i figli residenti coi genitori che la ottengono e devono essere minorenni.

La cittadinanza mancata

Mio padre fa domanda per ottenere la cittadinanza e aspetta per almeno quattro o cinque anni. Arriva poi una lettera a casa che dice: “Vieni fare giuramento entro sei mesi. Hai ottenuto la cittadinanza italiana”. Mio padre era in Italia dagli anni Ottanta, e la richiesta l’ha fatta verso il 2008. Il problema, in quel momento, era dato dal fatto che mio padre non fosse più residente con noi. Lui va a fare il giuramento e noi non otteniamo la cittadinanza con nostro padre. Io, all’epoca, avevo sui 14 anni. Quello è stato veramente terribile, ci eravamo sentiti veramente vicini a quello che noi sentivamo come un riconoscimento giusto. A quel punto, mia mamma si attiva. In quel momento era l’unica persona che lavorava in casa, per quattro figlie minorenni: non riusciva a raggiungere quella soglia di ISEE per ottenere la pratica per la richiesta di cittadinanza. Ha lavorato come una matta per tre anni per riuscire ad alzare il reddito di famiglia. È riuscita quando io avevo 17 anni. Quindi lì inizia la corsa contro il tempo.

Ci rivolgiamo ad un’avvocata che si prende a carico questa pratica, sapendo che avevo ancora un anno davanti ma ricordando, al tempo stesso, che la pratica dura almeno due anni. In realtà, dopo le novità che portato il ministro Salvini, le pratiche sono passate da due anni a quattro anni. Quest’avvocata ha fatto un vero e proprio miracolo: dopo che abbiamo fatto domanda… anzi ora ti voglio raccontare questa cosa. Io ho dovuto scrivere una lettera quasi motivazionale per spiegare, agli uffici competenti, perché dovessi ottenere la cittadinanza italiana. Questa cosa mi fa un po’ vergognare, perché con la testa di adesso non lo rifarei più. È una cosa talmente imbarazzante dover spiegare del perché io sono io, del perché io sia me stessa. Mi ero trovata molto in difficoltà a scriverla: era una lettera molto ipocrita ma avrei fatto qualsiasi cosa per raggiungere l’obiettivo. Succede, però, che compio gli anni il 16 novembre: faccio diciotto anni. Non il compleanno più felice della mia vita e non riusciamo ad ottenere la cittadinanza prima di quella data. Riusciamo ad ottenere la cittadinanza, un mese dopo il mio compleanno. La ottengono tutte le mie sorelle e la ottiene il mio fratellino appena nato quell’anno. Io non la ottengo perché avevo appena compiuto 18 anni. Io entro in crisi. Ero molto felice per loro ma ero molto triste per me. All’università, volevo fare un programma di doppia laurea all’estero, e andare all’estero senza una cittadinanza europea è molto più complicato. È molto più complicato fare qualsiasi cosa: in Italia, ci sono borse dedicate solamente a cittadini italiani. Era già un problema nel passato, è stato pesante viverlo anche in quel periodo in cui avevo voglia di studiare, viaggiare, vedere il mondo. Avevo l’opportunità di andare e scoprirmi. Sono partita, alla fine, per la doppia laurea ma è stato molto più complicato, rispetto ai miei compagni, ottenere anche solo degli aiuti statali. «Lei non è europea» e io rispondevo di avere la carta di identità italiana, un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. E mi dicevano che non valeva nulla. Ora ti racconto una chicca. In Francia, mi dicono che per chiedere un aiuto, per pagare un affitto come studentessa, sarei dovuta rientrare in Marocco e chiedere un visto per la Francia. Allora mi avrebbero aiutata. Ma io non andavo in Marocco da 12 anni. Tu spiegami il paradosso! È stato davvero faticoso a livello economico, ma soprattutto a livello mentale: sapere di essere lì a fare l’esperienza dei miei stessi compagni, tutti nello stesso punto di vissuto, ma avere la sensazione di rimanere sempre un po’ indietro.

Cittadinanza e buste della spesa

Io, a quel punto, ricomincio. È stato molto frustrante. Mi rivolgo alla stessa avvocata e chiedo di preparare una pratica per fare domanda di cittadinanza in quanto figlia di genitori italiani. Quindi inizia la mia pratica, di nuovo avevo bisogno di un determinato ISEE di mia madre, in quanto ancora inclusa nel nucleo famigliare. Mia mamma, poverina, inizia di nuovo a fare i salti mortali per alzare il reddito di famiglia e facciamo domanda. Arriva il Covid. È tutto bloccato. Lo considero quasi un segnale divino, e invece…

E invece io la ottengo proprio durante il periodo Covid. A caso. Un giorno, quando ormai si poteva, vado con mia mamma verso Porta Palazzo a fare la spesa. E lei mi chiede: «Perché non passiamo in anagrafe a fare un controllino?» Quindi ci presentiamo con le nostre buste della spesa: fantastico. Prendiamo il nostro numero e guardavo mia mamma del tipo: «Sono stanca, andiamo a casa ma chi ce lo fa fare?» Avevamo dieci numeri davanti a noi.  E lei mi dice di aspettare, che secondo lei sarebbe andato tutto bene, questa volta. Arriva il numero, andiamo in ufficio. Solitamente vai in questi uffici con la paura di trovarti davanti il personale amministrativo molto indispettito. E invece trovo una signora veramente piacevole, molto simpatica e accogliente, che ci dice di sederci. Le do la mia carta di identità, fa il controllo: «Aspetti un attimo». Ad ogni sua parola io respiravo sempre più affannata. Va dal suo responsabile per fargli qualche domanda, perché non voleva darmi un’informazione sbagliata. Avevo fatto domanda da due anni, secondo lei era troppo poco. Torna, si siede, ci guarda e dice: «Lei è cittadina italiana.» E io inizio a piangere. E iniziando a piangere le ho detto: «Ma non può controllare di nuovo? Non è che ha sbagliato a scrivere il cognome? Ce ne sono tanti con il mio cognome.» E lei mi ribatte: «È proprio lei!» Con un’emozione, un’emotività che non mi appartiene, solitamente, le ho chiesto quando potessi fare giuramento. E lei mi ha detto subito.

Io sono andata a fare giuramento con le verdure che avevamo comprato per fare il couscous quel giorno. Ti immagini? Lei è stata splendida, ha preparato la sala, mi ha chiesto di calmarmi: era tutto vero. Faccio il giuramento: «Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato». L’ho detto tra una lacrima e l’altra. E mia mamma che mi filmava… era tutto surreale… sembra quasi una barzelletta. Da tragica, la situazione è diventata comica. E io esco da quell’ufficio, con le buste della spesa, italiana, finalmente, a 22 anni.  

Pubblicato da Grandi Storielle

Siamo sei ragazze, Carola, Celia, Hannah, Livia, Morena e Sara che si sono conosciute in Erasmus a Chambéry e hanno ora deciso di mettere a disposizione la loro piccola ma grande arte per tutti.

2 pensieri riguardo “La grande storiella di Maryam

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