In ogni intervista voglio raccontare una grande storiella di giovani, che stanno costruendo il proprio sogno. Dopo aver indagato l’arte, https://grandistorielle.com/2020/11/17/la-grande-storiella-di-fiori-di-mandorlo/ , e il mondo dei viaggi, https://grandistorielle.com/2020/12/08/la-grande-storiella-di-una-viaggiatrice-autentica/ , entriamo ora in quello della musica. Ma proprio mentre stavamo per incominciare la nostra intervista arriva una chiamata importante. Ma non vi svelo ancora nulla; andiamo con ordine e partiamo dalle origini con Emanuele Cotto, in arte Etta Matters.
Non essendo una scelta scontata, ti chiederei come ti sia venuto in mente di fare il producer. Per il mondo della musica, si pensa di più alla figura del cantante o del deejay e invece perché proprio il produttore musicale?
Mi fa strano pensare adesso a come le cose si siano sviluppate. La vera idea infatti, all’inizio, era proprio quella di fare il deejay. Mi sentivo un po’ il capo del mondo, avevo sicuramente un’autostima molto più alta di quella che ho adesso. Andavo a ballare e mi dicevo: ‘‘Ma sai che sta roba qua potrei farla meglio…’’ Così, tra i 15 e i 16 anni, sono entrato in quel mondo e ho iniziato a capire alcune dinamiche che mi hanno proprio spinto a fare il deejay. Ora mi metto un cartellino qui, si indica il petto ridendo, ‘‘Ora faccio il deejay.’’ A quel punto, però, quando mettevo un pezzo degli altri, iniziavo a pensare a come lo avrei modificato, come lo avrei, magari, migliorato, affinché suonasse e desse un effetto del tutto diverso. E allora mi sono informato su come funzionassero le modifiche ai pezzi, e ho iniziato, in modo molto molto lato, a fare delle piccole produzioni, per le quali, quando le ascolto ora, mi prendo in giro. A quel tempo ero gasatissimo, le pubblicizzavo in giro, ma in realtà ci ho messo un po’ a fare le prime cose di cui andare fiero.
E ti ricordi la prima volta?
La prima volta in un club avvenne in pieno inverno, a gennaio, al Centralino, a Torino. Stavo malissimo: avevo mal di pancia dall’ansia, ma era andata veramente bene. E questo mi aveva gasato molto e mi sentivo già conosciuto ma in realtà la vera competizione, che a Torino è a un livello veramente altissimo penso a Gabry Ponte, o Gigi D’Agostino, o Eiffel 65, non la conoscevo per nulla. E c’è sempre stato questo grande divario tra la competizione molto alta e quella che potremmo definire più amatoriale. Ecco, in quest’ultima io andavo alla grande. Io mi sentivo il più bravo. Ma poi inizi a conoscere, a vedere la musica a Milano, a Roma, a Mantova, ad uscire dalla tua cerchia e capisci di non essere l’unico ‘‘fenomeno’’ ecco.

Quando c’è stato il passaggio da deejay a produttore?
Era poco dopo, a 17 anni ho iniziato a scaricare qualche software per provare a produrre qualcosa.
Possiamo dire che sia stata l’esigenza di mettere qualcosa di tuo, una tua prospettiva e personalizzazione al pezzo musicale che ha fatto fare questo cambiamento?
Assolutamente sì. Da deejay non puoi cambiare un pezzo e poi non avevo i mezzi e la tecnica per farlo. Però mi sono messo all’opera, ho studiato molto, ho sperimentato, cosa che continuo a fare sempre. Mi mangio tutorial ogni volta che posso. Sai quando dicono: ‘‘Stai attento che su youtube perdi tempo perché ti escono i vari video suggeriti ed entri in un loop da cui non riesci piu ad uscire?’’ Ecco io non vedo l’ora di entrarci, perché è proprio quel tempo che mi insegna.
E mentre provavi a produrre quei primi pezzi che tu definisci ‘ascoltabili’ hai anche incominciato un’universita che non c’entra assolutamente nulla con questa tua passione.
Esattamente. Ho iniziato Scienze strategiche. Ovviamente avevo provato a buttare lì l’idea di fare solo musica, ma non sono stato molto supportato. Da un lato mi chiedevo chi me lo facesse fare, ma comunque da un punto di vista culturale sono contento di aver fatto l’università e di aver studiato. Ci sono stati diversi esami che mi sono piaciuti molto, come antropologia culturale o psicologia, e ne sono uscito con un bel novanta e lode, come dico io, per scherzarci su.
E come concigliavi il dovere con la passione? Perché quando dico che voglio diventare giornalista, mi dicono – Ah, ma devi fare subito qualcosa- e io ho sempre detto che voglio fare le cose fatte bene, una alla volta. Però effettivamente non è facile gestire le due cose o no?
È abbastanza impossibile se vuoi che entrambe vengano bene. Ma non c’era nulla da fare, comunque la musica era troppo importante per me, era la mia strada. Studiacchiavo, e poi magari stavo in studio fino alle 2 di notte. Mi annullavo come persona per giornate intere, non guardavo il telefono, ero totalmente preso dalla musica, dalla mia musica.
Da produttore qual è stata la prima soddisfazione importante?
Allora partiamo dal presupposto che sono una di quelle persone che si gode le cose per quei quattordici secondi.
E dai facciamo almeno un minuto!
Ride, e allora dai facciamo un minuto. Ma dopo un minuto sai, voglio fare subito altro, voglio arrivare a qualcosa di diverso. Ma forse la prima grande soddisfazione è stata quando effettivamente io, avendo finito l’università e collaborando già da tempo con diversi artisti, ( ecco questa risposta l’ho lasciata esattamente come me l’ha detta, giusto per far capire che chiacchiera talmente tanto che riesce a fare digressioni più lunghe della risposta. Forse sono stata battuta. ) … e su quello devo dire che sono sempre stato bravo a fare contatti e, come ti dicevo, a baccagliare artisti, cioè quasi flirtare con loro per collaborarci. Per esempio il primo colloboratore per cui sono diventato produttore è stato Itto. Io ci ho proprio quasi flirtato online, ride, e proprio grazie a questa capacità di fare contatti stavo collaborando con dei ragazzi di Alba, e abbiamo fatto uscire il pezzo WHAT WE DO e per la prima volta sono entrato in una classifica.

E cosa hai provato?
La vera vittoria di quel pezzo è stata far capire ai miei genitori, così come alle persone che mi stavano intorno, che non stavo scherzando, che ero serio e deciso quando parlavo di voler fare musica dal mattino alla sera.
E dopo questa prima pubblicazione è cambiato anche qualcosa con gli amici?
Sì a livello di percezione. Ho sempre avuto la paura che gli altri mi attribuissero meno di quello che effettivamente facevo, tipo sindrome del fratello minore, no? Dopo quella pubblicazione, pensavo: ‘‘Finalmente lo hanno notato tutti.’’ E poi in realtà, concretamente, non sono cambiate così tante cose a livello professionale, per molto tempo..
Beh fino a poco tempo fa direi…
Esatto, fino a due mesi fa.
E il momento più brutto e demotivante?
Per quanto riguarda la carriera e mettici le virgolette, ( ma io non le metto perché è giusto parlare di carriera ) l’inizio è stato difficile, complicato. Ero nei giri giusti, ma non avveniva molto. Sai a me piace ‘essere il più scemo della stanza’, mi piace essere in una stanza con persone che ne sanno molto piu di me. Ero un po’ il cigno nero, il brutto anatroccolo.
Ma che si trovava nel posto giusto come infatti dice quella citazione: ‘‘Se sei la persona più intelligente della stanza, sei nella stanza sbagliata.’’
Volevo avere persone da cui prendere qualcosa, da cui imparare. Facevo parte di questo gruppo, in cui vedevo che tutti erano più bravi di me, che tutti stavano iniziando a fare cose e io rimanevo fermo, anche se lavoravo tantissimo rimanevo ‘‘l’amico di quelli bravi’’.
E quest’anno, questo 2020 che ci lasciamo alle spalle com’è andato ?
Quest’anno ho sicuramente vissuto il periodo più brutto a livello personale ma ho fatto cento passi in avanti in quello lavorativo. È paradossale, lo so. Iniziando a lavorare con artisti, ti trovi a fare studio session con più persone, dove ognuno dice la propria opinione, dove si crea un clima di collaborazione, di stimoli. Questo periodo di quarantena mi ha fatto fare un gran passo indietro, tornando a fare musica da solo, come quando facevo dance, all’inizio, nella mia cameretta.
Quanto è importante il ruolo del producer nella creazione di una canzone? Anzi andiamo ancora più indietro, partiamo proprio dalla domanda base. Chi è e che cosa fa un produttore musicale?
Il produttore è lo stilista che decide come vestire un brano. Tendenzialmente adesso, a causa dell’evoluzione della musica, lo streaming e altre cose che richiedono un ritmo frenetico, la figura dell’ adattatore, così come quella dei musicisti, del fonico, del tecnico di studio, di chi masterizzava, o di chi remixava, sono tutte presenti in quella del producer. Quindi è veramente diventato uno stilista, che a tutti gli effetti dice: ‘‘Io voglio quei polsini in modo diverso, tipo di lana’’ e allora va a procurarsi il materiale e lo adatta al modello. Così io magari in un pezzo mi dico: ‘‘Ci vedo una chitarra che fa una determinata cosa’’ e devi avere tutto in testa quello che deve succedere.

Non essendo tu un musicista, possiamo dire che quello che porti di nuovo è proprio la tua prospettiva sul pezzo in questione. Lo rendi un po’ tuo.
Il mio gusto. Sicuramente c’è una differenza tecnica tra me e chi era musicista prima di fare il produttore ma che ormai è ininfluente. E molti mi dicono che il fatto di arrivare dalla dance, per quanto limitante per alcuni aspetti, mi ha portato ad avere un certo tipo di orecchio e così riesco a proporre pezzi che possono piacere a molti, o comunque mi hanno sempre detto così. Molti mi dicono di rimanere così.
Forse perché paradossalmente la tua inesperienza tecnica su alcuni punti, fa rimanere il pezzo più originale, autentico.
Più che altro rimango semplice, con idee semplici. Esempio, per una canzone di Itto, ho registrato il rumore della pioggia e l’ho messo come sottofondo.
Arriviamo al presente, a questo bellissimo presente, cosa mi puoi dire?
Le cose per me sono cambiate da quando Esa e Deddy sono entrati nel programma di Amici. Avevo prodotto qualche loro pezzo e li ho conosciuti entrambi questo scorso anno. È stato abbastanza inaspettato, li abbiamo accompagnati al primo provino ma senza aspettative, nonostante ci fossimo comunque preparati tanto. Ho sempre creduto che entrambi avessero qualcosa che comunque anche a distanza di anni sarebbe emerso.
Parliamo di Deddy, di questo ragazzo scoperto per caso da un tuo socio, mentre suona il pianoforte al jazz club di Torino.
Sì storia pazzesca. Questo mio socio porta Deddy in studio e quando apre le note dell’iphone, vedo che aveva circa novanta canzoni tutte già scritte. Pensa che scrive da quando ha dodici anni circa. Capii subito che fosse necessario portare a fondo uno di questi pezzi, e così abbiamo fatto con FORTI E FRAGILI.
E ora parliamo invece della produzione dei brani di Esa come Eleven, Nato due volte e… Prego rispondi pure.
E niente, era Esa che lo chiamava. Sembrava quasi fatto apposta. E allora ho stappato due birre, e mi sono vista la grande storiella di Emanuele Cotto, per gli amici Meme, e per lavoro Etta Matters. L’ho vista in quella chiamata, la gioia, la soddisfazione. Non c’era quasi più bisogno di nessuna domanda, ha finito lui l’intervista, parlando del suo amico, fratello, collaboratore, Esa.
Con lui mi sono trovato benissimo. Voce pazzesca, cantava in quattro lingue, ho capito che era un’esplosione, a partire dalla sua storia, che ho incoraggiato a mettere in musica con NATO DUE VOLTE. Da produttore ho capito che dovevo prendere tutto questo casino fenomenale e farne della buona musica, e così è nato anche ELEVEN, che trovo molto emozionante con questo racconto del suo rapporto con il padre.
Parliamo del nuovo pezzo, prodotto da te, parliamo di DIMMI.
DIMMI nasce tempo fa. Volevamo creare pezzi da un minuto come contenuto su instagram, ed era il primo che scriveva interamente in italiano. Non era pensato per essere una hit, o un singolo da portare in una gara, ma come un semplice contenuto. In generale non davo indicazioni sul testo, mi occupavo dell parte musicale. In questo caso ho dato anche suggerimenti sulle pause, su quella ripetizione nel ritornello, di-dimmi. Il corpo completo del pezzo era pronto a fine quarantena, ma non ultimato. Ai primi di novembre, quando si aveva il sospetto che potesse entrare nel programma, abbiamo finito la produzione. Nelle ultime settimane, in chiamata, alla sera, mi lasciava una lista di cambiamenti da fare e il giorno dopo gli mandavo il pezzo con le correzioni, e così ci siamo messi a rifare alcune cose, come i cori, a cui hanno collaborato alcuni ragazzi di Amici, quasi tutti!

Finisco con una domanda che mi ronza da un po’ nella testa. Visto che hai detto che la figura del producer è come quella dello stilista, secondo te fare il producer può essere considerata arte?
Sì. Credo ci sia molta più arte in un sacco di lavori di quella che effettivamente vediamo. C’è arte un po’ in tutto per me, anche nel movimento delle mani di un dottore. Il produttore quando sente qualcosa se lo deve disegnare in testa, come un artista. E poi pensa che io da piccolo volevo fare lo stilista!
E lo sei diventato, uno stilista musicale. Abbiamo fatto quest’intervista poco prima dell’uscita di DIMMI, che ora è su tutte le piattaforme, o, per rimanere in tema, su tutte le vetrine. Partecipate
anche a voi questa prima sfilata, che sono certa essere la prima di molte altre. Congratulazioni allo stilista musicale Etta Matters.