Destinazione Cop è un piccolo collettivo di quattro giovani con background diversi, ma con un grande denominatore comune: l’attivismo. A partire da un anno prima della Cop, Lorenzo Tecleme, voce di questa intervista, Sofia Pasotto, Luigi Ferrieri Caputi e Giovanni Mori, vedendo quanto il “clima” in generale, e i negoziati internazionali per il clima fossero tendenzialmente poco coperti dai media italiani, hanno pensato “Sai cosa c’è? Lo facciamo noi.” Questo gruppo di ragazzi è riuscito, io mi sto ancora chiedendo come, ad entrare, per il giornale Domani, all’interno della Cop, partecipando a quella che verrà sicuramente ricordata come una delle Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tra le più importanti nella storia. Questa è la grande storiella di Destinazione Cop.
«Abbiamo incominciato a collaborare con un quotidiano, Domani. Da allora abbiamo raccontato per dieci mesi tutte le notizie e le anticipazioni sulla Cop: dalla preCop di Milano fino a Glasgow per Cop26. Siamo andati e tornati in treno, per motivi climatici e per mandare un messaggio importante.» E sapete con chi erano in treno? Proprio con Giorgio Brizio, ritrovate la sua grande storiella qui: https://grandistorielle.com/2021/11/08/la-grande-storiella-di-giorgio-brizio/
«Ci siamo autofinanziati e arrivati là abbiamo cercato di fare comunicazione in tutti i modi possibili e inimmaginabili: dal podcast alle storie su Instagram, cercando di raccontare nel nostro meglio come sia andata e come non sia andata questa Cop26.» https://www.editorialedomani.it/podcast/buongiorno-glasgow-podcast-cop26-destinazione-cop-clima-yti0c2ud
Avete iniziato ad informare mesi prima della Cop. Come avevate capito che questa Conferenza avesse una speciale importanza? Forse perché quella dell’anno scorso era saltata a causa del Covid? O per la pubblicazione dell’IPCC di quest’estate? (Ipcc, gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, ha pubblicato quest’anno un report allarmante sull’emergenza climatica.)
Prima ancora. C’era una serie di coincidenze per cui Cop26, a prescindere dal fatto che capitava in un momento storico, si fosse già guadagnata una riga nei libri di Storia. Innanzitutto, sarebbe dovuta avvenire a 5 anni dagli Accordi di Parigi, in realtà sono sei a causa della pandemia: era quindi il primo check up degli accordi quinquennali, che andavano aggiornati. È un momento cruciale, dove ci si chiede: “Abbiamo rispettato i vecchi accordi? Quali sono quelli nuovi? Già questa era LA notizia. E poi c’è l’emergenza climatica. Questo è il decennio del clima. In questo decennio noi capiamo se stiamo sotto 1.5, o se andiamo oltre. Questa Cop è più politica che tecnica. A prescindere dall’esito era importantissima.
Partirei dal risultato per andare a ritroso. Avevo scritto un articolo, https://generazionemagazine.it/cop26-accordo-compromesso/ , in cui dicevo che forse più di “accordo” fosse giusto parlato di “compromesso”. Possiamo dire che ci sono stati dei passi avanti su molte cose, su altre si è stati molto più timidi e il fatto che solo adesso si sia arrivati a concludere quella che fosse l’agenda dei trattati di Parigi fa capire quanto siamo comunque indietro. Quindi, domanda delle domande, sei abbastanza soddisfatto oppure no? Qual è il punto più importante raggiunto e qual è invece la grande sconfitta?
Soddisfatto no. Siamo tornati tutti molto tristi, l’ultimo giorno, dopo aver seguito certo non con piacere quella seduta finale drammatica, con il pianto di Sharma e l’imboscata finale dell’India.

Andiamo con ordine.
Le aspettative.
Partiamo da uno slogan delle piazze: Mind the gap, che fa il verso a quello che viene detto nella metropolitana in Inghilterra. Ricorda la distanza intesa fra il binario e il vagone; qui, invece, ricorda lo iato tra le ambizioni dei temi sul tavolo e ciò che chiede l’ultimo rapporto Ipcc. Anche se si fossero raggiunti i migliori risultati possibili alla Cop26, comunque era troppo poco. Lo dico per dare le proporzioni. Quindi anche una Cop andata benissimo, non sarebbe stata abbastanza. Quali erano le aspettative? Per quanto affermato durante la Precop, e dalle stesse parole di Sharma, erano 3 gli obiettivi.
1 CARBONE
Primo obiettivo era l’accordo per uscire dal carbone. Nessuno sperava una cosa troppo vincolante, ma quantomeno che si volesse uscire e che si indicasse una data, preferibilmente entro il 2050.
2 100MLD
Dodici anni fa erano stati promessi 100mld da parte dei paesi ricchi per finanziare la transizione nei paesi in via di sviluppo. Sarebbero dovuti arrivare l’anno scorso e non sono mai arrivati. Fino a qualche mese lo si diceva abbastanza a voce alta, lo dicevano i leader, lo diceva Kerry, che questo era l’anno dei 100 mld.
3 CHIUSURA DEGLI ACCORDI DI PARIGI
L’ articolo 6. Trasparenza: come riportare in tabelle uguali e in maniera univoca il conteggio delle emissioni e il mercato del carbonio, su cui si sta litigando dal 2015.
Abbiamo raggiunto solo il numero 3. Questo era l’obiettivo su cui c’era più ottimismo fin dall’inizio. Tutti volevano chiuderlo, il punto era solo trovare il come.
E per gli altri? Cosa si è raggiunto per il punto 1, il carbone, e il punto 2, i 100 miliardi?
1) C’è stato un primo accordo collaterale per cui molti paesi escono entro il 2040 ma è debole: non c’è la Cina, non c’è l’India… e la formula finale è debolissima.
La formula della prima bozza diceva: uscire dal carbone. Senza date. Si è poi arrivati alla formula phase down invece che phase out: molto debole.
L’ultima modifica voluta dall’India, all’ultimo momento, (ecco spiegate le parole che avete visto prima sotto l’immagine di Sharma), ha previsto l’uso di phase DOWN, RIDURRE, al posto di phase OUT, che significa ELIMINARE il carbone.
2) I 100 mld non sono stati raggiunti. Dicono forse l’anno prossimo.
Il passo in avanti più importante?
Accelerazione dei tempi delle trattative. C’è un target mai visto entro il 2030, che è interessante: -45% delle emissioni a livello globale in nove anni. Ma non solo, l’anno prossimo a Cop27, ci vediamo con gli NDC, piano quinquennale per la riduzione delle emissioni, aggiornati. Ogni paese devo riaggiornare il suo NDC con il suo obiettivo, in rapporto al 2030. Già l’anno prossimo si deve decidere qualcosa.
Com’era la giornata tipo di un corrispondente all’interno della Cop?
La Cop è una grande città: ci sono eventi più importanti ed eventi collaterali. Serve tempo per farsi un’idea di quello che sta succedendo. La parte più difficile è capire quello che sta avvenendo, per poterlo raccontare. Hanno emesso 40.000 pass: eravamo decine di migliaia di persone, spalmati in diversi ambienti, in diversi incontri. E poi ci sono gli imprevisti: la conferenza drammatica di Johnson; la conferenza congiunta America – Cina. E quindi ogni momento è una scommessa. Devi scommettere su quale sia l’evento che vale la pena seguire. Devi scommettere su quando ti conviene stare al tuo desk a lavorare e quando andare a seguire. È importante fare squadra.

Parliamo dei tuoi orari, sono curiosa.
L’ultimo giorno abbiamo dormito là. Arrivavamo mattina presto a seconda di quando si pubblicava il podcast e quanto ritardava l’autobus, e ce ne andavamo quando era finito tutto.
“Buongiorno Glasgow” il vostro podcast giornaliero, lo registravate di notte?
Idealmente volevamo registralo alle 18, montarlo alle 19. In realtà ci siamo riusciti due volte. Il più delle volte era registrato e montato di notte e qualche volta addirittura la mattina all’alba.
Il momento più emozionante da seguire da dentro?
Parto con uno da fuori: la marcia. Noi ci siamo concentrati molto sui negoziati perché era quello per cui siamo nati: raccontare i meccanismi dall’interno che avrebbero portato agli accordi finali. Abbiamo comunque scelto di raccontare molto bene le manifestazioni. La seconda marcia è stata impressionante, per la varietà di persone e la quantità, dato il periodo di pandemia. Non se l’aspettava nessuno, neanche gli organizzatori. Quello è stato emozionante.
Dentro, il penultimo giorno, la discussione non verteva intorno al carbone. È stata una sorpresa che all’ultimo ci si scontrasse su quello. L’ultimo giorno si litigava sul loss and damage: il meccanismo di risarcimento per cui i paesi ricchi e più responsabili delle emissioni pagano i danni ai paesi più poveri che subiscono di più i danni causati dal cambiamento climatico. A capitanare era il G77 e dall’altra c’erano USA ed Europa. Un momento veramente emozionante è stato quando il presidente del G77 ha fatto la conferenza stampa in mezzo al corridoio, urlando ai giornalisti presenti che Stati Uniti e Ue stavano facendo fallire Cop 26. È una frase fortissima da dire l’ultimo giorno ufficiale in un contesto così misurato. Abbiamo visto delegati africani uscire in lacrime dalle sale dei negoziati. Il giorno molto emotivo si è risolto con un nulla di fatto.
«Ci aspettavamo buone notizie sul Loss and Damage ne sono arrivate di cattive sul carbone.»
Ha avuto abbastanza risonanza questa manifestazione esterna, quella del 6 novembre, enorme rispetto all’aspettative, anche all’interno della Cop?
Fino ad un certo punto. Era ancora un momento di ottimismo nei negoziati, era la fine della prima settimana. Era appena arrivata una serie di annunci che faceva ben sperare: patto sul carbone, sulla deforestazione e altri…I delegati erano di buonumore e, anzi, a qualcuno dava anche un po’ fastidio, non la protesta in sé, ma il tono molto critico della protesta. Fuori c’era incredibile sfiducia nella Cop.
Greta Thunberg con il celebre blah blah blah aveva già ridicolizzato la Cop prima che avesse luogo, portando una maggiore attenzione sulla conferenza grazie al messaggio che aveva lanciato da Milano. Il sottotesto era dettato da una sfiducia iniziale, e anche noi lettori ( ed elettori ) eravamo più critici sotto alcuni aspetti.
C’è molta strategia in questo. Tu alzi le aspettative. C’era moltissima disillusione fuori. Si diceva: “Noi non ci aspettiamo niente da questa Cop. Poi se esce qualcosa di buono bene”. Questo ha però comportato che non ci sia stata “la botta emotiva” finale, perché dal momento in cui non c’erano aspettative non c’è stato, di conseguenza, neanche quel momento di delusione.
L’Italia ha fatto una bella o una brutta figura alla Cop 26?
L’Italia ha fatto una cosa che sa fare molto bene: non si è fatta notare. Ha avuto il suo momento di gloria nella giornata meno importante fra tutte: quando Cingolani ha annunciato lo youth4climateforever, nel giorno del corteo, vale a dire il giorno in cui i giornalisti non c’erano. Non abbiamo brillato nel mettere fondi, ci sono stati degli aumenti ma è ancora tutto sulla carta. Ma siamo stati tirati per la giacchetta in diversi accordi.
Va detta una cosa a nostra discolpa se vuoi: l’Europa non si è fatta notare. Non si è fatta notare come Unione Europea ma anche come singoli stati.
Il ricordo che ti porterai sempre dietro di questa Cop?
Una serie di incontri che ho fatto. Tra le persone che ho conosciuto, c’era una ragazza cilena sui 19 anni, attivista. Era là come delegata, o meglio come osservatore. Interessante rivedersi con una della tua età, chiacchierando vengono fuori racconti incredibili, come quando mi ha detto: «A casa nostra non arriva l’acqua.» Ed io: «Come non arriva l’acqua?» «Non arriva perché c’è l’Enel, che è la più grande azienda energetica in Cile, che ha fatto la diga.»
Quello che manca è quello che vuoi raccontare tu della vita – ndr. ( io lo definisco giornalismo sociale) – : finisci a passare così tanto tempo a parlare di geopolitica, dei grandi, di strategie e compromessi, che poi hai poco tempo per raccontare la materialità, l’umanità. Aver qualcuno che ti racconta questo aneddoto ti riporta alla realtà ed è il più bel ricordo.