Scarpe slacciate, un piede dentro una pozzanghera. L’ombrello è rimasto incastrato tra la borsa e il cappotto, una stanghetta di ferro è impigliata nella tasca e lei la tira, fino a quasi perdere l’equilibrio: ombrello rotto. Dal cielo viene giù una parete di acqua, che, fredda, appiccica i capelli sulla fronte, oltrepassa la treccia dei capelli per infilarsi e scivolare lungo il collo. Sta borbottando qualcosa, stanca dopo la giornata di lavoro, mentre sente il telefono squillare dall’altra tasca del cappotto. Deve
rispondere, è Matteo. Alza lo sguardo, e vede una gigantesca M rossa e bianca. Non ci pensa due volte: andrà in metro. Corre giù per le scale mobili e si mette al riparo, ansimante. Gli occhiali si appannano, con un filo di voce risparmiato dalla pioggia e dalla corsa, risponde al volo. Matteo, suo figlio di dieci anni, le vuole assolutamente dire, prima che arrivi a casa, che ha preso una nota, perché si era dimenticato di fare i compiti di matematica, ma ci tiene subito a sottolineare, facendo capire quanto la
costruzione della frase fosse stata a lungo studiata e meditata, che ha anche preso un Bravissimo con la faccia che non solo sorride ma proprio ride, in italiano. «Quindi siamo a posto, vero mamma?» Chiara scoppia a ridere: «Tu sei proprio tutto tuo padre, due gocce d’acqua. Ne parliamo poi a casa eh, io sto rientrando.» Chiara, sorridendo, si allaccia la scarpa, passa l’abbonamento al tornante elettronico, e
scende verso la metro. Di solito, quando esce dall’ospedale dove lavora, non prende mezzi pubblici nelle vicinanze. Si fa una bella passeggiata e va prendere un autobus, quasi da un altro quartiere, per tornare a casa sua. È il suo modo per perdere del tempo, secondo gli altri, e riprenderselo per se stessa. Arrivata alla banchina della stazione metro, si compiace nel vedere che mancano solo due minuti all’arrivo del
mezzo. Sta pensando a cosa cucinare, vuole controllare se il supermercato sotto casa sia ancora aperto, quando vede dall’altra parte della stazione, al di là dei due binari, la mamma del paziente del letto numero 3, del suo reparto. Lei sa che si chiama Silvia, che oggi è stata dentro l’ospedale tutto il giorno, proprio come lei. Sa anche che sta andando a mangiare qualcosa da qualche parte, perché è arrivato il
suo ex marito in ospedale. Si sono dati il cambio, con qualche carezza ma senza abbracci, forse per dei rancori ancora accesi da una rottura recente. Silvia la vede, le sorride discretamente. Chiara sventola la mano, e le fa segno che domani la troverà di nuovo al suo posto, in ospedale. La sua metro arriva, Silvia la prende, le continua a sorridere dal vetro che prende velocità. Chiara, con il suo ombrello rotto, un mal
di testa assordante, entra nel piccolo vagone. Si guarda attorno: la fermata della metro sotto l’ospedale può essere sorprendente. Qualcuno potrebbe avere un fiore in mano, qualcun altro un regalo. Qualcuno non ha voglia di parlare e allora ascolta musica; qualcuno guarda nel vuoto e altri non sanno neanche che proprio sopra le loro teste vi sia un ospedale pediatrico. Sono vite di persone che si incrociano in
spazi piccolissimi, dove rimangono in silenzio mentre una scatola rotante li porta da una parte all’altra della città, mentre sono indaffarati da impegni che si sono imposti, da appuntamenti, visite e scadenze. Si rimane in silenzio, e ci si lascia trasportare. E mentre Chiara si dimentica della nota di Matteo e del marito, che non lo sgrida mai, per concentrarsi su cosa Silvia avrebbe mangiato, da sola, a cena; una coppia si sta lasciando, appoggiata alla porta che separa i vari vagoni. C’è la signora Teresa, che con gli esami in mano, torna a casa felice e il signor Gianni che legge i referti senza capire a fondo delle parole difficili. C’è Marco che studia anche in metro per l’esame del giorno dopo; Ludovica ascolta un podcast e Mario dormicchia con la testa che sbatte sul finestrino. In quel ginepraio sotterraneo, le storie si sfiorano, si avvicinano per poi allontanarsi, magari per sempre. E la prossima volta, in una qualsiasi città,
arriveremo anche noi con una scarpa slacciata, in un giorno di pioggia, con l’ombrello rotto e ci siederemo vicino ad una persona qualunque, senza sapere che potrebbe proprio essere la signora Silvia.
Other people’s stories
Untied shoes, a foot in a puddle. The umbrella got stuck between the bag and the coat, one of the long ribs got caught in the pocket, and she pulls it, until she almost loses her balance: the umbrella is broken. It is raining cats and dogs and the cold-water sticks to her hair on the front head, it crosses her braid and slides
down the neck. She is mumbling something, tired after the workday, as she hears the phone ringing from the other pocket of the coat. She has to answer, it is Matteo. She looks up and she sees a giant red and white M. She does not think twice: she will take the metro. After running down the escalator and getting under cover, she starts panting. Her glasses fog up and she answers the phone in a faint voice. Matteo, her
ten-year-old son, absolutely needs to tell her, before she comes back home. He needs to tell her that he got a reprimand because he forgot to do his math homework, but at the same time he wants to point out, making it clear how much the sentence had been long studied, that he also got a Bravissimo with a smiling emoticon in Italian. “Everything is okay, right mum?” Chiara bursts out laughing: “you are just
like your father, two peas in a pod. We will talk about it later at home, I am on my way back”. Chiara, smiling, laces up her shoe, validates her transportation subscription, and walks down towards the metro. Usually, when she leaves the hospital where she works, she does not take public transport nearby. She generally takes a nice walk and takes the bus, almost from another neighborhood, to go back home. Once
she arrives at the platform of the metro station, she is pleased to see that she has only to wait two minutes before the bus arrives. She is thinking about what to cook, she wants to check if the supermarket below her place is still open and when, on the other side of the station, across the two platforms, she sees the mother of the patient in bed number 3 of her ward. She knows that her name is Silvia, that she has been
inside the hospital all day long, just like her. She also knows that she is going somewhere to eat, because her ex-husband has arrived at the hospital. They changed shifts with some cuddles but no hugs, perhaps because of grudges still aroused by a recent break-up. Silvia sees her, she smiles at her discreetly. Chiara waves her hand, and signals to her that tomorrow she will find her back at the hospital. The metro arrives, Silvia gets in it, keeps smiling at her through the glass, which picks up speed. Chiara, with her broken umbrella, a deafening headache, gets in the small subway car. She looks around: the metro stop below the hospital can be surprising. Someone might be holding a flower, someone else a present. Someone does not feel like talking and so listens to music; someone stares into space and others do not even know that right above their heads there is a children’s hospital. These are people’s lives that bump into each other in tiny spaces, where they remain silent while a rotating box takes them from one side of the city to the other, while they are busy with commitments, they have imposed on themselves; with appointments,
visits and deadlines. They remain silent and let themselves be carried away. And while Chiara forgets about Matteo’s reprimand and her husband, who never scolds him, to concentrate on what Silvia was going to eat, alone, for dinner; a couple is leaving, leaning against the door separating the various subway cars. Mrs. Teresa, with the exams in hand, is going home happy, and Mr. Gianni is reading the reports
without fully understanding the difficult words. Then there is Marco who also studies in the metro for the next day’s exam; Ludovica listens to a podcast and Mario sleeps with his head banging on the window. In that underground quagmire, stories bump into each other, come closer and then move apart, perhaps forever. And the next time, in any city, we will arrive with an untied shoe, on a rainy day, with a broken umbrella, and we will sit down next to an ordinary person, not knowing that it might just be Mrs Silvia.
Les histoires des autres
Chaussures détachées, un pied dans une flaque d’eau. Le parapluie est coincé entre son sac et son manteau, une tige de fer est prise dans la poche et elle la tire, jusqu’à presque perdre l’équilibre : parapluie cassé. Du ciel descend un mur d’eau qui, froide, qui lui pique les cheveux sur le front, passe la tresse de ses cheveux et glisse sur son cou. Elle marmonne quelque chose, fatiguée par sa journée de
travail, lorsqu’elle entend le téléphone sonner dans l’autre poche du manteau. Elle doit répondre, c’est Matteo. Elle lève les yeux, et voit un énorme M rouge et blanc. Elle n’y réfléchit pas à deux fois : elle prendra le métro. Elle descend l’escalator et se met à l’abri, en haletant. Ses lunettes embuées, d’une voix usée par la pluie et la course, elle répond précipitamment. Matteo, son fils de dix ans, est prêt à
tout pour lui dire, avant qu’elle ne rentre à la maison, qu’il a reçu une note parce qu’il a oublié de faire ses devoirs de mathématiques, mais il s’empresse de préciser, en montrant à quel point la construction de la phrase a été longuement étudiée et réfléchie, qu’il a également reçu un Bravissimo avec un visage
qui non seulement sourit mais rit, en italien. “Donc on est bon, n’est-ce pas maman ?” Chiara éclate de rire : “Tu es comme ton père, deux pois dans une cosse. On en parlera plus tard à la maison, je suis sur le chemin du retour.” Chiara, souriante, lace sa chaussure, passe l’abonnement au tourniquet électronique et descend vers le métro. En général, lorsqu’elle quitte l’hôpital où elle travaille, elle ne prend pas les
transports publics à proximité. Elle fait une belle promenade et va prendre un bus, presque d’un autre quartier, pour rentrer chez elle. C’est sa façon à elle de perdre du temps, selon les autres, et de le reprendre pour elle. Arrivée sur le quai de la station de métro, elle est heureuse de constater qu’il ne reste que deux minutes avant l’arrivée du bus. Elle réfléchit à ce qu’elle va cuisiner, veut vérifier si le
supermarché en bas est encore ouvert, quand elle voit de l’autre côté de la gare, au-delà des deux quais, la mère du patient du lit numéro 3, dans sa salle. Elle sait qu’elle s’appelle Silvia, qui est restée toute la journée à l’hôpital, tout comme elle. Elle sait aussi qu’elle va manger quelque part, car son ex-mari est arrivé à l’hôpital. Ils se relaient, avec quelques caresses mais pas de câlins, peut-être en raison de
rancœurs encore éveillées par une récente rupture. Silvia la voit, sourit discrètement. Chiara lui fait un signe de la main et lui indique que demain, elle la retrouvera là où elle doit être, à l’hôpital. Son métro arrive, Silvia monte dedans, continue de lui sourire à travers la vitre, qui commence à prendre de la vitesse. Chiara, avec son parapluie cassé, un mal de tête assourdissant, entre dans la petite voiture. Elle
regarde autour d’elle : l’arrêt de métro en dessous de l’hôpital peut être surprenant. Quelqu’un peut tenir une fleur dans les mains, quelqu’un d’autre un cadeau. Quelqu’un n’a pas envie de parler et écoute de la musique ; quelqu’un regarde dans le vide et d’autres ne savent même pas que juste au-dessus de
leur tête se trouve un hôpital pédiatrique. Ce sont des vies de personnes qui se croisent dans des espaces minuscules et qui restent silencieuses tandis qu’une boîte tournante les emmène d’un bout à l’autre de la ville, alors qu’elles sont occupées par des engagements qu’elles se sont imposés, des rendez-vous, des visites et des échéances. On reste silencieux, et on se laisse emporter. Et tandis que
Chiara oublie la note de Matteo et son mari, qui ne le gronde jamais, pour se concentrer sur ce que Silvia allait manger, seule, pour le dîner ; un couple est en train de se séparer, appuyé contre la porte qui sépare les différents wagons. Il y a Madame Teresa, examens en main, qui rentre chez elle heureuse, et Monsieur Gianni qui lit les rapports sans bien comprendre les mots difficiles. Il y a Marco qui étudie
aussi dans le métro pour l’examen du lendemain ; Ludovica écoute un podcast et Mario dort en se cognant la tête contre la fenêtre. Dans ce bourbier souterrain, les histoires se frôlent, se rapprochent, puis s’éloignent, peut-être pour toujours. Et la prochaine fois, dans n’importe quelle ville, nous arriverons nous aussi avec une chaussure détachée, un jour de pluie, avec un parapluie cassé, et nous
nous assiérons à côté d’une personne ordinaire, sans savoir qu’il s’agit peut-être de Madame Silvia.