Non era servito molto, a Carla, per capire di essere stata tradita. Doveva ancora entrare in casa e la situazione le pareva lapalissiana. Come ogni lunedì, aveva scritto sulla lavagnetta appesa in cucina, vicino al frigo, con un insolito gessetto giallo, i turni della settimana. Dal lunedì al mercoledì avrebbe fatto il pomeriggio, quindi dalle 14 alle 22; il giovedì avrebbe avuto la giornata lunga; il venerdì sarebbe stata di riposo; per sabato e domenica le aspettava la notte lunga. Così aveva scritto, lunedì mattina, ancora con un occhio aperto e uno chiuso, dopo aver portato i ragazzi a scuola. E ieri, sabato, prima di attaccare il suo lungo turno dalle 19 di sera alle 7 del mattino, si era accorta di aver sbagliato. La domenica, infatti, non avrebbe avuto il turno così lungo, per la notte, ma quello canonico: dalle 22 alle 7 del mattino. Se ne era ricordata al semaforo, davanti all’ospedale, mentre faceva mente locale su quando avrebbe potuto fare la spesa, passare a prendere il cappotto in lavanderia e provare, almeno, a sporgersi fino a casa dei suoi genitori. La lunga notte che l’aspettava parve subito più leggera, al pensiero che avrebbe potuto godersi la famiglia, qualche ora in più, il giorno dopo.
Domenica mattina, Carla era rientrata in casa e aveva trovato, inspiegabilmente, suo marito in piedi. Non aveva l’aria di essersi appena svegliato. Disse che le aveva preparato la colazione. Troppo stanca per ragionare, troppo triste per non aver visto alcun miglioramento nel ragazzino ricoverato nel suo reparto, era salita in camera da letto e si era addormentata. Nel frattempo, in ospedale, quel ragazzino si svegliava dalla lunga notte, chiedendo di lei, la sua infermiera preferita. Allo stesso momento, suo marito riceveva un messaggio dalla sua amante, mentre i suoi figli dormivano a casa dei cugini. In quel preciso istante, era suonato il telefono di casa: la mamma di Carla ricordava che bisognava andare a messa, oggi iniziava la quaresima. Il vicino di casa iniziò a tagliare la siepe, e una sveglia cominciò a suonare in camera dei ragazzi. Carla urlò di spegnerla subito. Silenzio. «Mi avete sentita? Non fatemi alzare, se mi alzo è peggio per voi eh, ve lo dico.» Trascorsi altri venti secondi, urlò ancora: «Se mi alzo rimango a dormire con voi, ve lo dico.» E sospirando, con fare un po’ rabbioso ma non per questo violento, solo con gesti dai contorni più spigolosi, andava verso la camera dei figli. Pensava che non potesse avercela con loro per una sveglia, che erano già così attenti alla sua stanchezza, al non svegliarla quando dormiva nel pomeriggio e sentiva che ripetevano gli appunti a voce bassa, dalla loro stanza. Così, si calmò prima di entrare, nonostante il rumore della sveglia risuonasse ancora più forte, man mano che si avvicinava alla porta. Una volta aperta, si ritrovò i due letti vuoti e una sveglia che supplicava di essere toccata. In quel momento, il suo telefono squillò: era di nuovo sua madre che le ricordava l’appuntamento della messa. Carla disse che si stava vestendo e riattaccò. Non disse altro. Scese al piano inferiore, mangiò con avidità e sprezzo i pancakes freddi. Rimproverò il marito di non essere ancora pronto per andare in chiesa, si vestì, si struccò per poi ritruccarsi, scrisse ai ragazzi e salì in macchina. Senza considerare il conducente, che d’altronde continuava a fare domande insolite come «Perché non vuoi dormire?» «Dobbiamo per forza andare in chiesa perché lo dice tua madre?» Stai bene?» Lei rispondeva di avere sonno e guardava fuori dal finestrino. Arrivati al parcheggio, nell’ordine cronologico degli eventi, successe che: un messaggio su whatsapp da parte di sua sorella le diceva che le voleva parlare di persona, rassicurandola che i ragazzi stavano bene e glieli avrebbe riportati per pranzo a casa; un’infermiera di turno l’aggiornava sul suo paziente preferito, dicendo che il ragazzino aveva chiesto di lei e oggi si sentiva meglio; venne notificata una mail di richiamo per il pagamento della bolletta del gas e sua madre arrivò con un enorme livido sulla fronte. Era di nuovo caduta, la malattia galoppava, doveva trovare una soluzione. Tornata in macchina, per prendere dei cerotti che portava sempre con sé, fissò il marito che messaggiava. Lo guardò severa, decise di proseguire la sua giornata: non aveva tempo per intoppi di alcun tipo, neanche d’orgoglio. Medicò in fretta il graffio affianco al livido sul la fronte materna, andò a messa, pregò senza sapere a chi indirizzare il suo bene, accompagnò la madre a casa, salutò il padre e bevvero un succo, come erano soliti fare in famiglia, la domenica, da quando era bambina: succo alla mela. Tornò a casa, cucinò e pranzò insieme ai figli e alla sorella, che non degnava di uno sguardo suo cognato. Passò il pomeriggio sul divano, con il rumore in sottofondo della telecronaca delle partite della serie A. Verso le 18 era stata svegliata: si credeva, infatti, che avrebbe iniziato a lavorare tra un’ora e anche Matteo ed Edoardo, i suoi figli, si erano presi impegni per un aperitivo con gli amici. Carla si preparò con cura, entrò in macchina e li accompagnò al bar. Di rientro, fece la spesa. Tornò a casa. E la situazione le sembrò così chiara, così ridicola, da non ferire. Una signora elegante scendeva da un’auto ed entrava nella sua abitazione. Senza cappotto, solo con un vestito nero, magari lo stesso della sera prima, quando lui aveva fatto dormire i figli fuori casa. Carla era stanca. Così stanca da non sembrare scioccata ma solo scocciata. Lasciò le borse della spesa davanti al portone. Le mise a terra. Rientrò in macchina, si chiuse a chiave mentre vedeva il marito aprire la finestra della cucina. Partì, piangendo. Al primo incrocio si fermò perché le lacrime le oscuravano la vista. Con il mento che le tremava, la stanchezza che calcava le occhiaie riaffiorate dal pianto, con i peli delle braccia tesi dalla pelle d’oca, entrò nel parcheggio dell’ospedale. Mentre il cellulare infuriava di chiamate e messaggi continui da parte del marito, lei, nello spogliatoio dell’ospedale, si truccò con cura e si pettinò. Bevve due lunghi sorsi d’acqua. Andava ora davanti alla porta del reparto, dove faceva un lunghissimo respiro. Strinse i pugni, stampò un sorriso sulla bocca e varcò la soglia. Al ragazzino, in corridoio, appena la vide, scoppiò un sorriso sdentato in viso e lei, con gli occhi ancora gonfi, nonostante tutto, rise forte.
Il n’a pas fallu longtemps Ă Carla pour se rendre compte qu’elle avait Ă©tĂ© trompĂ©e. Elle n’Ă©tait pas encore entrĂ©e dans la maison que la situation lui semblait Ă©vidente. Comme chaque lundi, elle avait Ă©crit quand elle serait de service pendant la semaine sur le petit tableau noir accrochĂ© dans la cuisine, près du rĂ©frigĂ©rateur, avec une craie jaune inhabituelle. Du lundi au mercredi, elle ferait les après-midi, donc de 14 Ă 22 heures ; le jeudi, elle aurait la longue journĂ©e ; le vendredi serait libre ; pour le samedi et le dimanche, la longue nuit l’attendait. Elle avait donc Ă©crit, lundi matin, toujours avec un Ĺ“il ouvert et un Ĺ“il fermĂ©, après avoir emmenĂ© les garçons Ă l’Ă©cole. Et hier, samedi, avant de commencer son long service de 19 heures Ă 7 heures du matin, elle s’est rendu compte qu’elle s’Ă©tait trompĂ©e. Le dimanche, en effet, elle n’aurait pas un poste aussi long, pour la nuit, mais le poste canonique : de 22 heures Ă 7 heures. Elle s’en Ă©tait souvenue au feu rouge, devant l’hĂ´pital, alors qu’elle rĂ©flĂ©chissait au moment oĂą elle aurait pu faire ses courses, rĂ©cupĂ©rer son manteau Ă la laverie et essayer, au moins, de se pencher sur la maison de ses parents. La longue nuit qui l’attendait lui a immĂ©diatement paru plus lĂ©gère, Ă la pensĂ©e qu’elle pourrait profiter de sa famille, quelques heures de plus, le lendemain.
Le dimanche matin, Carla est rentrĂ©e chez elle et a trouvĂ© son mari inexplicablement debout. Il n’avait pas l’air de venir de se rĂ©veiller. Il dit qu’il lui avait prĂ©parĂ© le petit-dĂ©jeuner. Trop fatiguĂ©e pour raisonner, trop triste pour avoir vu une quelconque amĂ©lioration chez le petit garçon admis dans son service, elle Ă©tait montĂ©e dans sa chambre et s’Ă©tait endormie. Pendant ce temps, Ă l’hĂ´pital, le petit garçon se rĂ©veillait de sa longue nuit et la rĂ©clamait, elle, son infirmière prĂ©fĂ©rĂ©e. Au mĂŞme moment, son mari reçoit un message de sa maĂ®tresse, tandis que ses enfants dorment chez leurs cousins. Ă€ ce moment prĂ©cis, le tĂ©lĂ©phone de la maison sonne : la mère de Carla lui rappelle qu’elle doit aller Ă la messe, le carĂŞme commence aujourd’hui. Le voisin a commencĂ© Ă tailler la haie, et un rĂ©veil a commencĂ© Ă sonner dans la chambre des garçons. Carla a criĂ© pour l’Ă©teindre immĂ©diatement. Silence. “Vous m’avez entendue ? Ne me faites pas lever, si je me lève c’est pire pour vous hein, je vous le dis”. Après vingt autres secondes, elle a criĂ© Ă nouveau : “Si je me lève, je reste et je dors avec vousi, je vous le dis”. Et soupirant, un peu en colère mais pas violemment, seulement avec des gestes plus contournĂ©s, ellel se dirigea vers la chambre de ses enfants. Elle se dit qu’elle ne pouvait pas leur en vouloir d’un rĂ©veil, qu’ils Ă©taient dĂ©jĂ si attentifs Ă sa fatigue, Ă ne pas la rĂ©veiller quand elle dormait l’après-midi, et elle les entendait rĂ©pĂ©ter les cours Ă voix basse, depuis leur chambre. Elle se calma donc avant d’entrer, bien que le bruit du rĂ©veil rĂ©sonnât encore plus fort lorsqu’elle s’approcha de la porte. Une fois ouverte, elle a trouvĂ© les deux lits vides et un rĂ©veil qui demandait Ă ĂŞtre interrompu. Ă€ ce moment-lĂ , son tĂ©lĂ©phone a sonnĂ© : c’Ă©tait encore sa mère, qui lui rappelait son rendez-vous Ă la messe. Carla a dit qu’elle s’habillait et a raccrochĂ©. Elle n’a rien dit de plus. Elle est descendue et a mangĂ© les crĂŞpes froides avec aviditĂ© et mĂ©pris.
Elle gronde son mari parce qu’il n’est pas encore prĂŞt Ă aller Ă l’Ă©glise, s’habille, se dĂ©maquille pour se remaquiller, Ă©crit aux garçons et monte dans la voiture. Sans tenir compte du chauffeur qui, lui, n’arrĂŞtait pas de poser des questions insolites comme “Pourquoi tu ne dors pas ?” “Est-ce qu’on doit aller Ă l’Ă©glise parce que ta mère le dit ?” Tu vas bien ?” Elle rĂ©pond qu’elle a sommeil et regarde par la fenĂŞtre. ArrivĂ©e au parking, dans l’ordre chronologique des Ă©vĂ©nements, il s’est passĂ© ce qui suit : un message whatsapp de sa sĹ“ur lui a dit qu’elle voulait lui parler en personne, la rassurant sur le fait que les garçons allaient bien et qu’elle les ramenait Ă la maison pour le dĂ©jeuner ; une infirmière de service lui a donnĂ© des nouvelles de son patient prĂ©fĂ©rĂ©, disant que le petit garçon l’avait demandĂ©e et qu’il se sentait mieux aujourd’hui ; un rappel par e-mail a Ă©tĂ© servi pour payer la facture de gaz et sa mère est arrivĂ©e avec un Ă©norme bleu sur le front. Elle Ă©tait encore tombĂ©e, la maladie galopait, il fallait trouver une solution. De retour dans la voiture, pour aller chercher des pansements qu’elle emporte toujours avec elle, elle fixe son mari qui envoie des textos. Elle le regarda d’un air sĂ©vère, dĂ©cidĂ©e Ă poursuivre sa journĂ©e : elle n’avait pas le temps pour les hoquets de toutes sortes, pas mĂŞme la fiertĂ©. Elle s’est empressĂ©e de panser l’Ă©gratignure Ă cĂ´tĂ© de l’ecchymose sur le front de sa mère, est allĂ©e Ă la messe, a priĂ© sans savoir vers qui diriger son bien, a accompagnĂ© sa mère Ă la maison, a dit au revoir Ă son père et a bu un jus, comme ils avaient l’habitude de le faire dans la famille, le dimanche, depuis quand elle Ă©tait enfant, un jus de pomme.
Elle est rentrĂ©e Ă la maison, a cuisinĂ© et dĂ©jeunĂ© avec ses enfants et sa sĹ“ur, qui n’a pas accordĂ© un regard Ă son beau-frère. Elle a passĂ© l’après-midi sur le canapĂ©, avec le son du commentaire des matchs de Serie A en fond sonore. Vers 18 heures, on l’a rĂ©veillĂ©e : elle doit commencer Ă travailler dans une heure et Matteo et Edoardo, ses fils, ont Ă©galement prĂ©vu de prendre un apĂ©ritif avec des amis. Carla se prĂ©pare soigneusement, monte dans la voiture et les conduit au bar. Sur le chemin du retour, elle fait les courses. Elle est rentrĂ©e chez elle. Et la situation lui paraissait si claire, si ridicule, que cela ne faisait mĂŞme pas de mal. Une dame Ă©lĂ©gante est sortie d’une voiture et est entrĂ©e dans sa maison. Pas de manteau, juste une robe noire, peut-ĂŞtre la mĂŞme que la veille, lorsqu’il avait laissĂ© ses enfants dormir chez les cousins. Carla Ă©tait fatiguĂ©e. Si fatiguĂ©e qu’elle n’a pas eu l’air choquĂ©e mais seulement agacĂ©e. Elle a laissĂ© ses sacs des courses Ă la porte d’entrĂ©e. Elle les a posĂ©s sur le sol. Elle est remontĂ©e dans la voiture, s’est enfermĂ©e quand elle a vu son mari ouvrir la fenĂŞtre de la cuisine. Elle a dĂ©marrĂ© en pleurant. Au premier carrefour, elle s’est arrĂŞtĂ©e car les larmes obscurcissaient sa vision. Le menton tremblant, la fatigue foulant les cernes qui avaient refait surface Ă force de pleurer, les poils de ses bras tendus par la chair de poule, elle est entrĂ©e dans le parking de l’hĂ´pital. Alors que son tĂ©lĂ©phone portable ne cesse de recevoir des appels et des messages de son mari, elle se maquille et se coiffe soigneusement dans le vestiaire de l’hĂ´pital. Elle boit deux longues gorgĂ©es d’eau. Elle se dirige maintenant vers la porte du service, oĂą elle prend une très longue inspiration. Elle a serrĂ© les poings, imprimĂ© un sourire sur sa bouche et franchi le seuil. Le petit garçon dans le couloir, dès qu’il l’a vue, a Ă©clatĂ© en un sourire Ă©dentĂ© sur son visage et elle, les yeux encore gonflĂ©s, malgrĂ© tout, a Ă©clatĂ© de rire.
Traduzione: Elena Bonvecchio