Martedì 4 aprile Ghina Marjmak non fa rientro da scuola. La bambina, di soli nove anni, verrà ritrovata impiccata in un pozzo. Oltre alla brutalità dell’esecuzione, e la morte di una bambina che è sempre da considerarsi una tragedia immane, c’era un’importante particolarità che rischiava di rendere questo omicidio, un caso internazionale. È stato infatti arrestato un uomo di origine turca per l’uccisione della bimba siriana. Nell’accogliente e inclusiva città di Kilis, nel sud-est della Turchia, a soli 7km dal muro che confina con la Siria, non era mai accaduto nulla di simile. Gran parte dei profughi siriani sono arrivati prima della costruzione del muro, nei primi anni della guerra in Siria: questo significa che sono circa dieci anni che la convivenza tra turchi e siriani è sempre stata pressoché pacifica, fino a qualche giorno fa. Durante il funerale, lo stesso Erdogan è intervenuto per fare le condoglianze e invitare alla collaborazione, ma come si potrà vedere dalle parole della famiglia di Ghina Marjmak, quest’ultima è già in atto.
L’incontro con la famiglia di Ghina avviene l’ultima sera della missione con l’associazione “Una Mano per un Sorriso – for Children” con la quale mi ero recata in Kenya, l’anno scorso. Dopo esserci tolti le scarpe all’ingresso dell’abitazione, come consuetudine quando si è ospiti da una famiglia siriana, entro in una stanza composta esclusivamente da uomini. Mi siedo, senza saperlo, di fronte al padre che, seduto al centro del divano, aspetta l’incontro. L’aria non è appesantita, il fumo aleggia, gli uomini chiacchierano tra di loro, ci viene portato il caffé siriano e dall’angolo del divano, vicino alla poltrona dove Majad, nostro interprete siedeva, faccio poche domande. Le risposte sono lineare, secche, incisive e, secondo me, straordinarie.
Posso chiedere la storia della famiglia, da dove venite e quando avete lasciato la Siria per venire a Kilis, in Turchia?
Nell’agosto del 2012, abbiamo lasciato Aleppo per venire a Kilis, e nell’arco di una settimana siamo riusciti a portare qui l’intera famiglia. Siamo arrivati in maniera illegale, ma poi qui abbiamo ottenuto il documento Kimlik, una sorta di carta d’identità che viene rilasciata ai siriani.
Prima di quello che è successo vi sentivate al sicuro qui a Kilis?
Quello che è successo è solo un incidente che può accadere ovunque, anche se molto raramente.
Siete arrabbiati?
C’è una certa rabbia per questo tipo di situazione. C’è ed è vero. Ma c’è un governo, ci sono delle autorità e crediamo nella giustizia.
Dopo quanto accaduto, credete che il rapporto tra turchi e siriani possa cambiare?
La relazione è ancora buona. Mio figlio proprio adesso sta lavorando con le autorità turche, così come i suoi fratelli e le sorelle. Non vogliamo che questo caso crei problemi, vogliamo che questo rafforzi il rapporto, non che lo danneggi.
All’inizio c’erano due sospetti, entrambi turchi. Hanno arrestato qualcuno?
Un turco. Un uomo criminale, affetto da droghe. Un uomo cattivo. Ha commesso un crimine e pagherà, tramite la giustizia. Abbiamo ricevuto sostegno dalla comunità turca e siamo con loro.
Qual era la grande storiella di Ghina?
Era una bambina di buon cuore. Ogni giorno voleva portare regali alle sue insegnanti, come rose o altri fiori e anche le stesse insegnanti le volevano bene. Le piaceva ballare. Amava gli animali, soprattutto i gatti. Era la nona figlia: aveva quattro fratelli e quattro sorelle. Era l’ultima arrivata.
Noi veniamo da un quartiere povero, umile ma sia la comunità turca e sia la comunità siriana ci sono tanto vicine.
L’arrivo della mamma, unica donna seduta in mezzo agli uomini, accanto a suo marito, cambia leggermente la situazione. Anche lei crede nella giustizia ma è arrabbiata. L’unica cosa da fare è punire chi ha commesso il reato. Hanno arrestato l’uomo e il processo inizierà a breve.
Ogni volta che provo a rivolgermi personalmente a lei, rispondono gli uomini. Credo che le parole più sincere che mi abbia rivolto siano quelle che non ci siamo dette: quando si è avvicinati per mostrarmi le foto e i video di Ghina. E lì, senza alcun bisogno del traduttore, ci siamo abbracciate.
Informazioni che possono essere utili:
Kilis è nel sud-est della Turchia, ed è una delle città e delle province con il maggior numero di profughi siriani. Secondo dati dell’anno scorso questi superavano il 40% della popolazione, ma il dato è sicuramente salito nel corso del tempo.
Il Kimlik è un documento d’identità temporaneo, che permette ai siriani di avere un serie di servizi, tra cui la sanità gratuita.
L’associazione Una Mano per un Sorriso – for Children lavora da anni nella zona, per portare aiuti umanitari alle famiglie profughe siriane, a questo link si accede al sito per scoprire il progetto.